"Dunque vi chiediamo di raggiungere la Contessa Sforza anche a nostro nome." disse Ascanio Sforza, prendendo Raffaele Sansoni Riario per un braccio, stringendo quel tanto che bastava per sottintendere tutto il necessario: "E anche Giuliano Della Rovere, vostro cugino, tiene molto a sapervi presto nelle terre forlivesi a porgere le nostre condoglianze a Caterina."
Raffaele aveva capito che sia Giuliano sia Ascanio volevano che lui, una volta di fronte alla vedova di suo cugino Girolamo, spiegasse come quei cinquanta cavalieri papalini era stati mandati da tutti e tre in concerto.
Per dirlo, lo avrebbe anche detto, se non altro per non incappare in eventuali ripicche di quei due sgradevoli personaggi, ma era stato lui a sborsare un sacco di soldi per quei soldati...
"Porgerò le vostre condoglianze ed esprimerò alla Contessa Riario – fece Raffaele, riaggiustando il tono – la vostra vicinanza."
Ascanio Sforza sollevò l'angolo della bocca e finalmente liberò il Cardinale Sansoni Riario dalla sua presa: "Benissimo, caro Raffaele. Fateci sapere quando lascerete la corte romana. Vorremmo salutarvi."
Raffaele chinò appena il capo in segno di assenso e tirò un sospiro di sollievo quando Ascanio, finalmente, se ne andò.
Da quando Caterina aveva scoperto l'identità del garzone di stalla – ora stalliere – che tanto l'aveva colpita, la rocca di Ravaldino sembrava essersi fatta improvvisamente troppo piccola.
Per quanto la giovane cercasse di sfuggire ogni contatto con quel ragazzo, a ogni passo se lo trovava davanti, a ogni angolo vi ci si imbatteva, in ogni stanza in cui entrava, lui era lì per qualche motivo.
Se non fosse stata un'idea campata per aria, Caterina avrebbe detto che Giacomo Feo la stava seguendo.
Prima non l'aveva mai visto in giro, tanto meno nella rocca. Mentre ora lo incontrava di continuo e quasi sempre quando non c'era nei paraggi nessun altro.
Si scambiavano uno sguardo brevissimo – di solito era Caterina a guardare altrove per prima – e poi ognuno tirava dritto per la sua strada.
Non si erano più detti nemmeno una parola, dal loro primo incontro nelle stalle e nessuno dei due sembrava intenzionato a cambiare quella consuetudine.
Caterina avrebbe preferito non trovarselo davanti a ogni pie' sospinto, perché la sua vicinanza la confondeva e la innervosiva. Non aveva mai capito cosa intendessero i poeti e gli scrittori, quando parlavano di attrazione e desiderio, ma, più i giorni passavano, più si convinceva che era proprio quello che stava provando lei, il sentimento che tanto faceva sospirare quei letterati.
Dover convivere con un uomo che detestava, dover subire la sua presenza e dover condividere con lui l'intimità le aveva tolto ogni tipo di aspettativa e curiosità, almeno fino a quel momento.
Con la morte di Girolamo, Caterina aveva lentamente cominciato a farsi delle domande e a rivalutare la propria posizione.
Era libera.
Non si sarebbe mai più piegata al volere di un uomo, certo, ma non per questo le era vietato provare a scoprire qualcosa in più sull'amore. Se era quello, l'amore...
Tormentata da questo nuovo tipo di tortura, Caterina vedeva la città di Forlì risorgere davanti ai suoi occhi come una fenice dalle sue ceneri.
Da Imola arrivavano solo buone notizie e anche gli ultimi conti giunti dal borgo di Fortunago erano in positivo.
Tommaso Feo aveva cominciato a dare lezioni di spada a Ottaviano e il ragazzino sembrava accettare di buon grado la guida del castellano. Si stavano abbastanza simpatici e inoltre Tommaso sapeva essere un maestro severo, ma mai intimidatorio. In caso di errore, incoraggiava il suo allievo, piuttosto che mortificarlo. Lo spronava, senza mai fargli pesare quelle mancanze che nessun esercizio avrebbe mai colmato.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...