Firenze era una piccola gemma illuminata dal sole, quella domenica di Pasqua e l'Arno, nel suo mezzo, brillava come argento vivo, rendendo l'intera città ancora più affascinante.
Raffaele Sansoni Riario, abituato com'era allo sfarzo eccessivo e chiassoso della corte romana, rimase incantato da quella grazia e quella bellezza così fini eppure così lussuose.
Quel giorno era stato convinto a chiamare a raccolta tutta la popolazione e i personaggi di maggior spicco in Duomo, per assistere alla messa che lui stesso avrebbe celebrato. In realtà non conosceva i dettagli del piano, ma sapeva quello che sarebbe accaduto e tanto bastava a renderlo un fascio di nervi.
Il coraggio non era precisamente la sua dote migliore e l'essere coinvolto in un affare simile era per lui una fonte di ansia non indifferente.
Il cardinale diciottenne osservò con meraviglia e agitazione crescente i personaggi illustri che varcavano la soglia del Duomo.
I rappresentati delle Arti Maggiori e Minori, uomini con calzabrache di due colori, dame agghindate come per un matrimonio e decine di confraternite religiose, tra cui dei flagellanti.
Le autorità tardavano ad arrivare, ma il popolo ebbe di che chiacchierare nel vedere entrare in Duomo Sandro Botticelli con il suo giovane amico e collega, Filippo Lippi.
I due stavano parlottando tutti ridenti di cose di poco conto e solo quando furono in chiesa Sandro chiese all'altro: "Chissà se il mio amico Giuliano verrà... Mi aveva detto di essere ancora indisposto..."
In effetti, questa voce era giunta anche ai congiurati, che avevano agito d'anticipo.
Francesco Pazzi e Bernardo Bandini, fingendosi molto preoccupati per Giuliano e per la sua reputazione agli occhi della città, erano andati personalmente a prelevarlo per trascinarlo in Duomo, convincendolo del fatto che il papa si sarebbe adirato immensamente, se non fosse stato presente alla messa ufficiata dal suo amato parente.
Per tutta la strada da Palazzo Medici al Duomo, Francesco – e anche Bernardo, seppur con maggior discrezione – abbracciarono spesso Giuliano, fingendo di rallegrarsi per la sua guarigione e di essere contenti del suo ripensamento.
In realtà a loro non premeva la salute di Giuliano, ma solo di accertarsi che non portasse pezzi di armatura o armi sotto la veste.
Siccome Giuliano aveva ancora forti dolori alla gamba infetta, contro la quale sarebbe andata a sbattere la sua arma preferita – il coltello da guerra che lui stesso chiamava con affetto 'gentile' – non portava con sé nessuna difesa, nemmeno la cotta di maglia, che, indisposto com'era, l'avrebbe solo affaticato.
Quando arrivarono in Duomo, Lorenzo era già al suo posto, vicino alla sagrestia vecchia. Non stava prestando troppa attenzione alla messa, che era già cominciata da qualche minuto. Stava conversando distrattamente con Guglielmo Pazzi, suo cognato, Francesco Nori e Angelo Poliziano.
Quando vide arrivare il fratello Giuliano, gli fece un cenno con la mano, un po' sorpreso di vederlo lì, nonostante tutto, e poi tornò a concentrarsi sui commenti insulsi di Guglielmo.
Giuliano si mise con Bernardo Bandini nel settore che dava verso via dei Servi. Era già stanco e non vedeva l'ora che la funzione finisse. Non gliene importava un accidenti di quel nuovo vescovo, o cardinale o quello che era, che arrivava da Roma...
Due preti, aria dimessa e cappuccio in testa, stavano passando a passi lenti e pesanti a poca distanza da Lorenzo, che non li vide nemmeno.
Bernardo Bandini mise una mano sotto al mantello, stringendo in pugno l'elsa.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...