Capitolo 37: Roma accerchiata

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Il sole che filtrava dalla feritoia sembrava una lama decisa a indicare la prossima vittima.

I soldati rimasti in vita erano ormai più disperati dei civili e tutti quanti sapevano che la morte era a un passo.

I veneziani non voleva togliere la loro morsa da Ficarolo e la piccola cittadina non riusciva più a resistere.

Era il ventinove giugno e le truppe guidate da Sanseverino avevano già fatto strage a Rovigo e razzie nella strada che li aveva portati fino a lì, fino a quel paese difeso da due fortezze che si stagliavano sul Po, quel fiume così prodigo di nebbia in inverno e di zanzare in estate.

La resa sembrava l'unica carta da giocare e, per preservare la vita o quel che ne rimaneva, i superstiti stavano discutendo la cosa con la voce grave e gli occhi carichi di stanchezza e dolore.

Sanseverino era appena fuori dalla città e stava aspettando che quegli ostinati campagnoli si decidessero a lasciargli campo libero.

Gli sembrava assurdo che ancora resistessero, dopo un assedio tanto lungo e cominciava quasi a rivalutare la validità delle loro piccole rocchette, che erano state in grado di tenerli bene o male al sicuro fino a quel momento.

Quando arrivò la notizia che la decisione era stata presa e che la città finalmente si arrendeva, Sanseverino annuì senza scomporsi.

Schiacciò con uno schiaffo una zanzara che gli si era appena appoggiata sulla guancia e commentò, a voce bassa: "E ora andiamo verso Ravenna."


"No, non avrebbe senso mandarti nelle zone del ferrarese." spiegò Sisto IV al nipote, che lo fissava pallido: "Sanseverino sta già fecendo un ottimo lavoro per noi, là. Tu mi servi al sud, a difendere il nostro stato dal Duca di Calabria..."

Girolamo stringeva in pugno un piccolo pugnale, che suo zio gli aveva appena regalato in segno di buona fortuna per la sua prossima partenza per il fronte.

Sembrava che dopo i successi di Sanseverino contro Ferrara, Ercole d'Este si stesse muovendo, cercando alleati di una certa portata, come Ferdinando di Napoli, Federico Gonzaga e, forse, si rumoreggiava, stava per assicurarsi anche l'appoggio dei Medici, che tanto odio covavano nei confronti del papa.

Questa presa di coraggio di Ercole scatenò le velleità del Duca di Calabria, per conto di Napoli, che voleva approfittare delle distrazioni venutesi a creare nel ferrarese per attaccare lo stato pontificio al sud.

In pratica, Roma si trovava accerchiata, stretta nella morsa di due nemici che si stavano rivelando di tutto rispetto. Si giocava tutto in un attento bilanciamento: da un lato l'attacco e dall'altro la difesa.

Tuttavia, Sisto IV non voleva ammettere del tutto la verità. Farlo sarebbe equivalso ad ammettere che aveva sbagliato ad assecondare i consigli del nipote.

Così, più o meno ingenuamente, Sisto IV non era convinto della validità dell'esercito calabrese, per cui aveva deciso di affidare l'incarico a Roberto Malatesta, uomo che egli considerava mediocre e poco affidabile.

Lo aveva richiamato in fretta dal ferrarese per spedirlo a sud, ma voleva che anche Girolamo, finalmente, prendesse parte a qualche battaglia, almeno a qualche scaramuccia, per mettere a tacere le voci, sempre più insistenti, sulla sua manifesta incapacità.

Sisto IV non ne aveva ancora parlato con Caterina, perché temeva una sua reazione sprezzante, cosa che avrebbe di certo compromesso l'umore del marito e la sua determinazione a fare la propria parte.

"Seguirai Roberto Malatesta." spiegò il papa.

"Oh, questa poi..." si lamentò Girolamo, soffiando irritato.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora