"Non lo troveranno. Abbiamo il silenzio del prete e nessuno sa, a parte noi." stava dicendo Bona, esausta.
Era quasi l'alba, ma nessuno era ancora riuscito a prendere sonno. Dalla morte del Duca, le ore si erano inseguite senza tregua, portando continuamente novità nel bene e nel male.
"Secondo me, comunque, sarà meglio spostarlo, alla prima occasione." disse Lucrezia, il naso ancora arrossato.
Era stata molto provata dagli avvenimenti di quel giorno, ma già da un paio d'ore sembrava essere tornata in sé e si era messa subito a dare man forte a Bona, consigliandola come meglio poteva sul da farsi e ringraziandola, con ogni sguardo, per non aver perso di vista nemmeno per un secondo il bene del Ducato.
Erano assieme ai figli nella camera che era stata del Duca. Per quella notte avevano preferito evitare di spostarsi nella torre centrale. Non era molto ospitale e si sentivano già al sicuro con le guardie alle porte.
La popolazione sembrava aver accolto con diffidenza il tentativo di rivolta, per cui ora i veri nemici erano in seno alla famiglia, Ludovico in primis.
Fin dal primo momento, infatti, Bona aveva temuto per la sorte del figlio, Gian Galeazzo, erede legittimo del defunto Galeazzo Maria, ma ancora un bambino.
"Hai ragione, Lucrezia." convenne Bona: "Non possiamo lasciarlo sepolto tra due colonne della chiesa in cui è stato ucciso, non è giusto."
I figli dormivano bene o male tutti. Solo Carlo e Caterina, i due più grandi, seguivano i discorsi delle due donne.
Il primo era spaventato, gli occhi ancora cerchiati dal pianto e il viso esangue. Aveva già diciotto anni, un uomo fatto e finito, eppure quella notte sembrava appena un bambino.
Caterina, invece, non aveva versato nemmeno una lacrima, non aveva voluto cedere alla disperazione che minacciava di farla cadere da un momento all'altro. Si era imposta di stare attenta, di seguire ogni minimo passaggio di quello che stava accadendo e – se poteva – di dare una mano.
Per il momento si era limitata a consigliare timidamente qualche piccola precauzione di sicurezza, in particolare aveva spiegato a Bona come far disporre le guardie attorno al palazzo e come organizzare le provviste, in caso il palazzo fosse stato preso d'assedio dalla popolazione.
Bona aveva seguito con fiducia quello che le aveva detto la figlia, perché era conscia del fatto che Caterina ne sapeva molto più di lei, su argomenti del genere.
"Ora dobbiamo solo aspettare che qualcuno degli assassini parli." terminò Lucrezia, con un sospiro stanco, mentre, inconsciamente, con una mano accarezzava la testa della più piccola tra i figli di Galeazzo Maria, Anna Maria, poco più che treenne.
Le urla di Carlo Visconti si sentivano fin da diversi metri di distanza dal palazzo di Porta Giovia.
Erano strazianti, come quelle di un'anima dannata che vaga nella notte più buia di tutti i tempi in cerca di redenzione.
La sua cella dava verso la città, ed era separata dal mondo solo da una grata, che permetteva a tutti di condividere la sua sofferenza.
Era stata Bona a volerlo mettere lì, affinché tutti sapessero che lei non scherzava, che non era una donnetta spaventata e debole. Dovevano capire che la legge veniva rispettata anche da lei, che non transigeva e che avrebbe punito tutti i colpevoli, senza alcuna eccezione, senza nessun riguardo, nemmeno per chi era di sangue nobile come il povero Visconti.
Non le piaceva, pensare di avere la vita di quel giovane e degli altri congiurati sulla coscienza, ma non aveva scelta, se voleva permettere ai propri figli di avere un futuro.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Ficção HistóricaCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...