Virginio Orsini estrasse la punta dello spadone dal corpo esangue di un nemico e alzò lo sguardo verso le mura di Vicovaro.
Non ebbe il tempo di fare altro, perché dovette ripararsi dai colpi di un cavaliere nemico, che lo incalzava con una spada lorda di sangue e uno scudo scheggiato.
L'uomo dei Colonna gli diede un forte colpo in viso usando lo scudo di taglio. Virginio Orsini fece del suo meglio per tenersi alle redini e a non cadere in terra. Stava quasi per perdere l'equilibrio, quando notò un punto scoperto nella difesa del suo sfidante.
Con una mossa azzardata, ma resa sicura dai suoi trentanove anni, gran parte dei quali passati ad addestrarsi e a combattere, riuscì a respingere l'avversario e addirittura a disarcionarlo e così ebbe un momento per prendere fiato.
Strinse gli occhi contro il sole rovente che osservava la scena dal suo cielo blu e sputò in terra un misto di sangue e saliva. Il colpo ricevuto poco prima doveva avergli quanto meno spaccato un dente, dannazione...
Attorno a sé vedeva una grande confusione, ma la situazione non era del tutto disperata. Cercò tra la ressa la Contessa Riario, ma non riusciva a vederla da nessuna parte.
Di certo la controffensiva inattesa li aveva spossati e messi in una posizione scomoda, ma i cavalieri che aveva portato con sé parevano all'altezza della situazione.
Se solo fosse riuscito a trovare la Contessa...
Caterina era stata disarcionata quasi subito, appena dopo il primo impatto con la colonna di cavalieri nemici, ma era riuscita a rialzarsi abbastanza velocemente.
Era caduta sulla schiena, riuscendo a evitare all'ultimo momento di battere il ventre contro il suolo secco e caldo, ma non si era comunque trattato di un tocco di salute.
Sulle prime aveva usato la spada soprattutto per uccidere i cavalli dei nemici, che finivano per rovinare al suolo, oppure per respingere i colpi che arrivavano da ogni lato.
Non stava mettendo in pratica nulla di quello che aveva imparato nel cortile d'addestramento del palazzo di Porta Giovia.
La sua mente era come annebbiata e tutto quello che riusciva a percepire era la paura. Non sentiva nulla, né le grida, né i rumori assordanti delle armi che cozzavano... Non vedeva nulla, non percepiva nulla se non il pericolo.
La morte era una presenza reale, più viva della vita stessa. Era come se il suo alito gelido riuscisse a congelare anche l'aria torrida di quel giugno.
Poi, improvvisamente, si era trovata quasi sotto al naso una lama nemica. Tanto vicina da poterne sentire l'odore ferroso, reso ancora più acre dal sangue che l'impregnava.
Era stata una vera e propria epifania. Di punto in bianco tornarono gli odori, i colori e i rumori.
Sentiva il tanfo degli uomini che le morivano attorno, vedeva il marrone del terreno tingersi di rosso e sentiva le urla di dolore e quelle di rabbia...
La sua mente divenne d'un tratto lucida come non la era da anni, i suoi sensi più fini e precisi che mai.
Con una solerzia e un puntiglio che avrebbero reso fiero il suo primo maestro d'armi, Caterina cominciò a usare tutte le tecniche che aveva appreso nel corso della sua infanzia.
Parata alta, affondo laterale, parata bassa, affondo alto...
E univa a quei gesti, così semplici e automatici perché ripetuti allo sfinimento in giovane età, altre mosse, che non sapeva di poter fare.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...