Capitolo 115: Dies calamitatis et miseriae

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Nel palazzo dei Riario, orrendamente devastato e svuotato da tutti i preziosi, quella stessa notte Checco e Ludovico Orsi convocarono il Consiglio degli Anziani.

Tutti gli aventi diritto entrarono nelle sale del potere stando ben attenti a non calpestare troppo le tracce di sangue lasciate in terra dalla guerriglia che aveva avuto luogo fino a pochi minuti addietro, e presero posto a fatica su qualche sedia salvata in extremis dall'avidità della folla inferocita.

"Prima di tutto – cominciò Checco Orsi, gonfiando il petto e puntellando i pugni sui fianchi – vorrei ricordare a tutti voi, stimatissimi concittadini, che io sono colui che ha avuto il coraggio di compiere l'eroico gesto. Io vi ho liberati dal tiranno. Inoltre, io sono il capo della guarnigione e i miei uomini sono rimasti fedeli a me e presidiano la città."

Qualcuno vociò, ma nessuno osò pronunciarsi apertamente contro Checco, perché Ludovico Orsi, ben ritto e con le armi ancora sporche in mano, guardava torvo i presenti, minacciandoli silenziosamente.

"Lungi da me criticare l'operato di Checco Orsi – prese a dire Nicolò Tornielli, il capo dei magistrati – però dovrete ammettere con me che senza la protezione di uno Stato potente, non abbiamo possibilità di mantenerci liberi."

"Che intendete dire?" domandò Ludovico Orsi, indispettito.

"Che Ludovico Sforza non lascerà morire la nipote senza pretendere vendetta. Che Firenze non accetterà mai la formazione di un nuovo Stato indipendente così vicino ai suoi confini. Che Roma non si priverà mai di una città strategicamente importante come Forlì." elencò Tornielli, tenendo il conto con le dita: "E, non ultimo, miei cari concittadini, come pensiamo di far cadere la rocca di Ravaldino? Anche se avessimo un esercito, non potremmo mai espugnarla e finché la rocca non cade, tutti noi rischiamo di divenire carne da cannone!"

"La rocca cadrà!" lo contraddisse Ludovico Orsi, ridendo: "Il castellano ce la cederà non appena vedrà la sua amata Contessa in pericolo e noi avremo Ravaldino in men che non si dica. Tutti sanno che Feo è l'amante di quella donna... Appena la vedrà minacciata, si arrenderà."

"Intendete forse far davvero del male alla Contessa per convincere il castellano di Ravaldino a dichiararsi sconfitto?" domandò attonito Tornielli.

Tutti i membri del Consiglio attendevano con ansia la risposta degli Orsi. Ormai pareva uno scontro tra loro due e il capo dei magistrati.

Entrambe la parti sembravano avere argomenti convincenti ed era difficile decidere per chi schierarsi.

"Certo. È nostra prigioniera. Possiamo far di lei quel che vogliamo." assicurò Checco Orsi, ritrovando la parola.

"Folli." decretò Tornielli, con sicurezza: "Se le farete del male, Ludovico Sforza arriverà cavalcando pancia a terra e trasformerà la nostra città in un cimitero."

"E allora che intendete proporre?" chiese uno degli Anziani, impaziente.

"Chiediamo che il papa interceda. Che ci mandi lui un uomo di sua fiducia che ci aiuti nelle trattative. Lo Sforza abbandonerà in fretta e di buona grazia la nipote, pur di non scatenare una guerra con Roma." decretò Tornielli: "Se il messo pontificio commetterà errori di valutazione o mosse azzardate, la colpa sarà solo sua e noi saremo ancora in tempo per prendere strade diverse."

Tutti gli Anziani presero ad applaudire a quelle parole e così gli Orsi si scambiarono un'occhiata significativa e carica di ansia.

Non potevano confessare a nessuno che alle loro spalle c'era Lorenzo Medici. E non potevano nemmeno invocarne l'aiuto, non finché la rocca di Ravaldino non fosse caduta nelle loro mani.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora