Le piogge che avevano cominciato a cadere i primissimi giorni di settembre scrosciarono per le strade di Forlì senza tregua per oltre una settimana.
Come se si fosse trattato di un miracolo, i casi di peste si ridussero drasticamente e molto in fretta.
L'acqua piovuta dal cielo aveva lavato via l'infezione, come si era soliti dire.
La Contessa Riario si prodigò per dare assistenza agli ultimi malati, ma ormai il suo compito era arrivato alla fine.
La popolazione della città si era ridotta, ma la consapevolezza di non essere stati colpiti duramente come invece era successo ad altri paesi, aveva permesso alla popolazione di affrontare i lutti e le difficoltà con uno spirito stoico e ottimista.
La città riprendeva lentamente a vivere, pur facendo i conti con le gravi perdite che, inutile illudersi, le tasche della Contessa non riuscivano più a colmare. Per quanto si fosse impegnata a comprare personalmente rifornimenti di cibo e altri beni di prima necessità, la penuria di grano e altri alimenti era evidente.
Essendosi quindi praticamente risolta l'epidemia, i Conti Riario permisero al Duca di Calabria, Alfonso d'Aragona, di sostare in città prima di volgersi verso Ravenna, dove il suo nemico, Sanseverino, si era andato a nascondere.
Alfonso d'Aragona era in quel tempo alleato da papa Innocenzo VIII, che lo sosteneva strenuamente, nell'attesa che il Cardinale Borja riuscisse a ottenere la pace tra i Baroni e i vecchi sovrani di Napoli.
Caterina non era molto felice di quella visita inattesa, perché tutto quello che le ricordava il loro legame con Roma la innervosiva, ma Girolamo, malgrado schivasse ogni impegno pubblico, ordinò che il Duca venisse fatto entrare in città, per evitare di incorrere nelle eventuali ire del papa.
Alfonso d'Aragona si fermò poco, partendo subito in direzione di Imola, tornando, però, dopo nemmeno tre giorni, avendo saputo che Sanseverino, forse sentendosi sconfitto, aveva sciolto l'esercito e si era nascosto.
Di nuovo in Forlì, per non incomodare i signori, Alfonso aveva preferito non accettare l'ospitalità per sé e per i comandanti nel palazzo dei Riario, preferendo una sistemazione più modesta, assieme ai suoi soldati.
Aveva visto i segni della peste recente in città e voleva, a suo dire, far circolare un po' di danaro, dando lavoro alle osterie. Così, come nel corso della visita di pochi giorni addietro, si era sistemato all'osteria che stava appena fuori da Porta Bologna.
Il 18 settembre, in segno di amicizia, Girolamo insistette affinché il Duca e almeno i suoi uomini più fidati andassero a cena a palazzo, in modo da poter parlare con tranquillità.
I Conti stavano aspettando l'arrivo degli ospiti. Nella sala dei ricevimenti era stato imbandito il grosso tavolo per la cena e un profumo invitante si stava spandendo per tutto il palazzo.
I bambini erano stati messi a riposare, mentre i consiglieri personali di Girolamo erano tutti presenti e ben contenti di poter incontrare una persona della fama di Alfonso d'Aragona.
Girolamo era molto agitato e faticava a nascondere la sua immotivata apprensione. Si mordeva il pollice senza tregua, chiedendosi a voce alta come sarebbe andata la serata e cosa avrebbero pensato gli ospiti, nel vedere i signori della città vestiti in modo modesto e senza gioielli.
Caterina avrebbe volentieri sottolineato come la povertà in cui vivevano era legata all'inettitudine del marito, ma non voleva angustiarlo senza motivo. Non sapevano di preciso chi il Duca avrebbe portato a palazzo e quindi era indispensabile limitare i danni.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...