Capitolo 151: Castra expugnata dicuntur

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"Ridono di me non solo in tutta Italia, ma in tutto il mondo!" esclamò Isabella d'Aragona, battendosi con forza i pugni contro le gambe: "Ora mi dite pure che mia madre ha scritto anche a sua sorella, la regina d'Ungheria, sparlando di me! Invece di darmi il loro sostegno, ridono tutti di me! Come se fosse colpa mia...!"

La rabbia che provava era tale da farle vibrare la voce e portarla quasi al pianto.

Il messo napoletano, assieme ai due soldati che gli facevano da scorta, ascoltava in silenzio, il capo chino e un'espressione mesta che ben si addiceva al clima cupo che si respirava nel castello di Pavia.

"Che colpa ne ho io, se mio marito non ne vuole sapere di me?!" continuò Isabella, asciugandosi una lacrima furtiva che stava scivolando oltre le ciglia: "Se n'è anche andato a Vigevano con suo fratello Ermes, dicendomi di restare pure a Pavia, come se non mi volesse intorno...!"

Il messo di Napoli alzò appena gli occhi, incerto se provare a parlare o meno. Avrebbe voluto farle notare che se lei stessa non avesse ripetutamente ribadito nelle sue lettere quanto fosse infelicemente sposata, forse lo scandalo sarebbe stato più contenuto. Tuttavia egli si rendeva conto che quella che aveva di fronte era poco più che una ragazzina, terrorizzata da quello che le stava accadendo e da quello che sarebbe potuto essere il suo futuro.

Comunque, quando si accorse che la Duchessa si stava passando una mano sugli occhi per reprimere il pianto sul nascere, l'uomo trovò il coraggio di passare alla parte peggiore.

"Vostro padre ha deciso di inviare un contingente autorevole qui nello Stato di Milano per certificare la nullità delle nozze e procedere alla rescissione di ogni contratto." disse il messo, chiudendo con un inchino profondissimo: "Egli crede che dopo quindici mesi circa non ci sia più molto in cui sperare e non vede l'utilità di tenere in vita questo legame."

Isabella improvvisamente smise di piangere. Puntò gli occhi, resi ancora più vividi dalle lacrime, sull'uomo che le stava davanti e deglutì rumorosamente. Non voleva rinunciare alla sua posizione, né a suo marito che, per quanto scostante e pieno di difetti, continuava a piacerle in modo tanto irrazionale quanto disperato.

"Dite a mio padre che mi serve ancora un mese. Se fallirò e il matrimonio sarà da annullarsi, allora non farò storie. Ancora un mese, ve ne prego." disse la giovane, con risolutezza.

Il messo napoletano arricciò un angolo della bocca e a malincuore ribatté: "Se è questo che volete, scriverò subito a vostro padre per chiedere un mese di proroga."

Isabella annuì con forza e, sistemandosi la chioma di un meraviglioso rosso scuro, cominciò a ragionare in fretta sul da farsi.


Caterina stava faticando come non poco a seguire il discorso del Capo del Consiglio degli Anziani.

L'uomo le stava elencando in parte i problemi e in parte i dubbi della popolazione di Forlì, ma lo stava facendo con un tono talmente pedante e monotono che anche il più volenteroso degli auditori si sarebbe distratto almeno un paio di volte.

La Contessa aveva un motivo molto serio, per aver la testa altrove, ma si rendeva conto che non era il caso di sottrarsi al suo dovere.

Finita la lunga filippica sulle difficoltà di una grande fetta di popolazione nel reperire i soldi per le tasse, Caterina prese in fretta la parola: "Capisco e condivido le vostre lamentele e le vostre difficoltà, tuttavia ho già ridotto al minimo le tasse e cerco di economizzare in ogni modo le risorse, portando avanti solo le spese strettamente indispensabili."

"Con permesso, mia signora – fece l'Anziano – i lavori a quello che chiamano il Paradiso e le ristrutturazioni alla rocca di Ravaldino hanno portato all'aumento delle tasse e non si trattava di spese strettamente indispensabili..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora