La mattina era fresca, resa frizzante dal temporale che si era protratto per tutta la notte.
Forlì si era risvegliata sotto a un sole tranquillo, un po' pallido, unico re di un immenso cielo di un azzurro tenerissimo e leggero.
Caterina non aveva chiuso occhio per tutta la notte e così, alle prime luci dell'alba, aveva cominciato a vagare come un'anima in pena per la rocca. Aveva così potuto vedere il momento preciso in cui la pioggia aveva smesso di cadere, anche se la fine del temporale non aveva placato la tempesta che le si agitava nell'anima.
Non riusciva a credere di essere stata tanto avventata da baciare il fratello del suo castellano. E poi era anche scappata. Senza una parola, una spiegazione. Senza nemmeno chiedergli di mantenere il più totale riserbo.
Non c'era stato nulla di male, ma se una voce del genere fosse uscita dalla rocca, lei sarebbe subito stata travolta da una nuova ondata di malignità. Avrebbero detto che un solo amante non le bastava, che il castellano era evidentemente troppo vecchio e che il fratello minore le era sembrato un degno sostituto...
La sua posizione era ancora troppo precaria e i pettegolezzi l'avrebbero screditata presso tutte le corti italiane, rendendole ancor più difficile trovare alleati e interlocutori in caso di bisogno.
Con queste agitazioni, appena la rocca aveva cominciato a rianimarsi per dare inizio a una nuova giornata, Caterina era uscita per dirigersi alla barberia di Andrea Bernardi. Non ci era più andata e non sapeva spiegarsi il perché.
Con il grande servizio che il Novacula le aveva reso durante i giorni della ribellione, avrebbe dovuto andare a visitarlo molto prima, per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei, visto che senza il suo aiuto di certo la rivolta degli Orsi sarebbe finita molto diversamente.
Quindi approfittò di quell'espediente per lasciare Ravaldino, evitando così a prescindere un fortuito incontro con Giacomo Feo.
"Oh, ma dove hai la testa, oggi?!" sbottò Tommaso Feo, guardando il fratello che stava con gli occhi fissi verso il muro.
Giacomo deglutì e spostò lo sguardo sul castellano: "Niente... Stavo solo pensando a una cosa..."
Tommaso scosse il capo, innervosito e contrariato. Giacomo era stato promosso senza motivo e dimostrava giorno dopo giorno di non avere nessuna attitudine per il suo nuovo compito, né di nutrire alcuna aspirazione per il futuro.
Era inaudito che uno stalliere si facesse dire continuamente le stesse cose, prendendo ordini dal castellano, anche quando avrebbe dovuto sapere da solo cosa fare e quando.
Giacomo avrebbe voluto dar retta al fratello maggiore, ma era quello il punto preciso in cui la sera prima la sua signora lo aveva preso per un braccio, per poi baciarlo.
Che ne poteva sapere, Tommaso, dei pensieri e dei ricordi che lo stavano attraversando in quel momento?
"Vedi di finire il lavoro entro mezzogiorno, chiaro?" fece Tommaso, esasperato dallo sguardo perso del fratello: "Ora devo andare nello studiolo a parlare con il bargello, ma tu fa' il tuo lavoro, va bene?"
Giacomo annuì appena, ben felice di lasciar andare Tommaso dal bargello. Non aveva più voglia di sentire la sua voce. Gli dava ordini, lo rimproverava, gli intimava di tornare presente a se stesso.
Ma che ne sapeva lui?
Che poteva saperne, di quello che Giacomo si sentiva addosso?
Che poteva saperne di quel sapore e di quel profumo che non lo volevano lasciare?
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...