Capitolo 134: È vano cercare ciò che ci salvi dal fulmine

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L'improvvisa dipartita del Bergamino e la confusione che ne era seguita avevano fatto ritornare Caterina in uno stato di allerta palpabile.

Aveva subito mandato i figli e la sorella a Imola, sotto la protezione del Cardinale Sansoni Riario, tanto per essere sicuri di non incorrere in nuovi incidenti.

Subito dopo si era dovuta occupare di uno spiacevole fatto avvenuto in Forlì. Erano stati sparsi per la città dei cartelloni in cui si accusavano pubblicamente gli Orcioli e i Marcobelli di aver preso parte, né più e né meno degli Orsi, all'uccisione di Girolamo Riario.

L'autore di tali messaggi infamanti era stato subito individuato e Caterina l'aveva spedito a rinfrescarsi le idee in carcere. In parte perché non credeva alle sue accuse e in parte perché non aveva intenzione di inimicarsi né gli Orcioli né i Marcobelli con vendette basate su dei miseri pettegolezzi.

A gravare sulle sue giornate, arrivò anche un uomo da Milano, propostole da suo zio Ludovico come nuovo Governatore. Caterina gli promise un paio di mesi di prova, ma nulla di più.

Sapeva che anche suo zio era addolorato per la morte di Bergamino, perché aveva sentito parlare della profonda amicizia che li aveva legati per anni, perciò trovò ancora più fastidiosa la sua solerzia nel proporle un sostituto.

Inoltre, come ennesima causa di pressione, c'erano le visite di Antonio Maria Ordelaffi, che si erano fatte ben più frequenti di quanto Caterina non volesse.

Addirittura, quando lei si recò, a metà giugno, a Imola, per vedere i figli, l'Ordelaffi fece in modo di strapparle un paio d'ore di compagnia presentandosi improvvisamente davanti alla sua dimora.

Per quanto la Contessa stesse riuscendo a mantenere sempre con Antonio Maria un certo distacco, pur senza essere mai sgarbata, l'uomo aveva cominciato a credere che le cose stessero risolvendosi in suo favore.

Ordelaffi si era convinto che la Contessa Riario fosse solo una donna molto timida o, ancor più probabile, semplicemente insensibile al fascino maschile. Dunque non dava troppo peso al modo in cui ella fingeva di non notare come, casualmente, lui le sfiorasse di quando in quando la mano, né badava eccessivamente al tono disinteressato con cui commentava le sue frasi più ardenti.

Antonio Maria ormai era certo che prima della fine dell'anno sarebbe riuscito a chiedere apertamente alla Contessa di sposarlo e che lei, ormai abituata alla sua presenza e convinta dalle sue idee politiche, gli avrebbe detto di sì. Addirittura, la sua convinzione era tale da portarlo a scrivere una lettera piena di speranze al signore di Ferrara, uno dei suoi pochi corrispondenti.

'Sono lieto di annunciarvi – aveva scritto, in chiusura di messaggio – che a breve convolerò a nozze con la Contessa Sforza Riario, quella che voi chiamate Leonessa di Romagna. La mia gioia nell'annunciarvi questo evento non è esplicabile a parole. Vi farò sapere più avanti la data e il luogo della cerimonia.'


Il Cardinale Ascanio Sforza stava parlottando in un angolo del salone con altri due porporati.

L'argomento era facile da intuire. Lui, così come Giuliano Della Rovere e Rodrigo Borja, non faceva altro che parlare della vedova di Girolamo Riario.

Innocenzo VIII passò accanto al capannello di cardinali salutandoli con un cenno del capo. Era assurdo che quegli uomini di Chiesa quasi non ricambiassero mai i suoi omaggi. Al massimo mimavano una riverenza o borbottavano qualche parola, ma nessuno pareva più trattarlo come un papa.

Tutti quanti, ormai, davano più peso alle parole e alle opinioni di Rodrigo Borja, che non a quelle di Innocenzo VIII, questa era la dura verità...

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora