Capitolo 117: Dies nebulae et tenebris

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Quella notte, Monsignor Savelli radunò gli Anziani più autorevoli e strappò loro l'autorizzazione a formare un nuovo consiglio, chiamato Consiglio degli Otto, che avrebbe sostituito ogni altro organo decisionale fino a nuovo ordine.

Le motivazioni mosse dal messo papale erano molte, ma in testa spiccava quella della 'rapidità decisionale' che era, a suo dire, 'indispensabile' per sbloccare la situazione presente.

Il religioso temeva che la Contessa Riario potesse – in che modo era difficile dirlo – preparare delle contromosse, dunque era di fondamentale importanza prendere decisioni in fretta e senza bisogno di interminabili votazioni.

"Avete scritto al nostro amico?" chiese Ronchi, nel corso di quella lunga notte, prendendo un momento in disparte Checco Orsi.

Questi, stravolto dal sonno e dalla tensione di quei giorni e ancora non del tutto ripresosi dal trauma di non aver visto crollare a terra morto il Conte al primo colpo di pugnale, fece spallucce e si limitò a dire: "Sì, ma finché la rocca di Ravaldino non cade, possiamo sognarci il suo aiuto."


"Vi preghiamo, per il piccolo!" implorò la donna, porgendo la culla alle guardie.

"Per il piccolo!" ribadì il marito, Achille Bighi.

I soldati si guardarono un momento, poi si decisero a prendere la culla e a scacciare i due forlivesi che, vivendo molto vicini alla rocchetta di San Pietro, avevano deciso di donare la culla ormai smessa del loro bambino, impietositi al pensiero del figlio più piccolo della Contessa.

"Grazie!" ringraziò la signora Bighi: "Che Dio si ricordi di questa vostra gentilezza!"

Le guardie dissero ancora ai due forlivesi di allontanarsi e questi fecero così, sicuri che la culla avrebbe reso meno penosa la prigionia a quel povero lattante.

Una delle due guardie portò subito il dono nella cella, gettandolo con malagrazia verso la Contessa: "Regalo di due vostri concittadini." spiegò e si richiuse subito la porta alle spalle.

Mentre tornava all'ingresso principale, quella guardia si trovò a pensare che, per essere stata appena rovesciata, quella donna aveva ancora troppa gente che le dimostrava dell'affetto o quanto meno della pietà.

Era una cosa molto pericolosa, secondo lui, ma non aveva l'ardire di riferire il proprio pensiero agli Orsi, tanto meno al Savelli.


La notte nella cella di San Pietro passò lenta, ma leggermente addolcita dall'arrivo della culla per Sforzino.

Il piccolo si era subito addormentato, in quel giaciglio, ma restava pallido e debole. Le sue piccole labbra erano screpolate, e così cominciavano a essere anche quelle degli altri prigionieri.

I bambini più piccoli non avevano più nemmeno la forza di piangere, mentre i più grandi stavano attaccati alle gonne della madre, che, dopo l'arrivo della culla, non aveva più aperto bocca.

Solo quando l'alba si stava avvicinando, Caterina capì che i tempi erano maturi. Era il momento di giocarsi il tutto per tutto.

Così come aveva fatto a Castel Sant'Angelo, si prese un momento per trovare la forza e poi si preparò ad agire in modo inflessibile e senza esitazioni.

Se Bernardi era riuscito nel suo compito, allora il piano sarebbe filato liscio, almeno all'inizio.

Se, invece, il barbiere-storico aveva fallito, allora erano tutti spacciati, a prescindere da quello che Caterina avrebbe detto o fatto nelle ore a venire.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora