Capitolo 136: Lunga vita al Conte!

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Clarice Orsini continuava a tossire da giorni, il suo corpo era sempre più esile e i medici parlavano di consunzione.

Lorenzo Medici non riusciva a farsene una ragione. Stava al suo capezzale in ogni momento, trascurando anche gli affari di Stato.

Il signore di Firenze credeva impossibile non poter far nulla per alleviare le pene di sua moglie.

Avevano a corte i migliori dottori d'Italia, erano la culla della cultura mondiale, eppure, davanti alla malattia, nessuno sembrava in grado di fare nulla.

Clarice, che era stata sempre una donna intelligentissima, dalle conoscenze pressoché illimitate, benché cocciutamente e inspiegabilmente religiosissima, ora languiva tra due guanciali, incapace persino di riconoscere suo marito.

Lorenzo sentiva una ferita riaprirsi nel petto, quella stessa fenditura che si era formata alla morte di suo fratello Giuliano e che ora rischiava di tornare a sanguinare, come e più di prima.

"Non lasciatemi solo..." sussurrava alla moglie, che, con gli occhi socchiusi, riusciva appena a rantolare qualche parola senza senso.

Si erano allontanati così tanto, dopo il matrimonio della loro giovane figlia, Maddalena, con Franceschetto Cybo... Perché non erano riusciti a riconciliarsi, prima di quella che sarebbe stata una drammatica fine del loro matrimonio?

"Non lasciarmi solo..." ripeteva Lorenzo, stringendo la mano fredda e sudata di Clarice, asciugandole la fronte e ripulendole gli angoli della bocca, quando, dopo aver tossito, compariva qualche rivolo di sangue.


La notte si stagliava davanti agli strani strumenti dell'astrologo personale di Ludovico Sforza, prodiga di stelle e di intuizioni.

Quella era una di quelle volte stellate che potevano essere interrogate su qualunque argomento, perché la loro ricchezza di risposte era infinita. Ecco perché il reggente del Duca di Milano si era recato lì, quella notte: per avere risposte ai suoi dubbi.

"Ormai i tempi sono maturi – stava dicendo Ludovico, grattandosi la nuca – sono promessi da troppi anni e Gian Galeazzo ha già diciannove anni, non si può più aspettare o Ferdinando d'Aragona penserà che mi sto prendendo gioco di lui..."

L'astrologo di corte aveva già sentito quella frase troppe volte per credervi davvero, tuttavia quello che Ludovico disse poco dopo lo convinse che forse qualcosa era cambiato.

"Ho sentito dire troppo spesso, ultimamente, che io mi atteggio come Duca e che mio nipote non è nemmeno libero di sposarsi..." fece Ludovico, schiacciando una zanzara che gli si era appena appoggiata sul dorso della mano: "Da questo a organizzare una congiura contro di me manca molto poco... Se penso a com'è morto mio fratello Galeazzo Maria..."

L'astrologo rispettò il momento di pensieroso silenzio in cui si era chiuso il reggente del Duca, ma poi chiese: "Cosa volete sapere, esattamente, mio signore?"

Ludovico sospirò, volgendo lo sguardo alla volta stellata: "Ditemi la data più prossima in cui sia opportuno celebrare le nozze tra mio nipote e Isabella d'Aragona."

L'astrologo annuì e cominciò a guardare attraverso le sue lenti. In realtà, non stava dando peso a quel che vedeva in cielo. Era molto più catturato dai propri pensieri. Doveva interpretare non tanto i segni delle stelle, quanto i segnali del suo signore.

Aveva imparato che il Moro, come lo chiamavano ormai tutti, apprezzava solo le risposte che ricalcavano precisamente i suoi desideri inespressi. Dato che era lui a pagargli lo stipendio, tanto valeva accontentarlo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora