Capitolo 66: Ritornare a Forlì

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"Badate bene che io so quello che dico – stava dicendo il soldato, mentre il Novacula affilava il rasoio – perché l'ho vista io con questi occhi qui!"

La clientela del barbiere-storico ascoltava in religioso silenzio. Solo un paio di presenti sembravano indecisi sulla credibilità di quell'uomo originario di Milano, che era arrivato in città al seguito del Conte Riario qualche giorno addietro.

"Poco più di vent'anni, vi dico!" proseguiva il soldato, mentre il Novacula si accingeva a radergli il mento: "Una meraviglia, ve l'assicuro, Dio bòn. E dopo la battaglia, ah! Dovreste vederla, vè, dopo la battaglia...! Oh, signori miei, è come se esser stata tanto vicina alla morte la rendesse ancora più viva!"

Andrea Bernardi, da buon barbiere, fece star zitto un attimo il cliente, mentre lo radeva, prendendo la parola al suo posto: "La Contessa è una gran donna, altro che!" E partì a raccontare per la milionesima volta di quando, appena arrivata a Forlì, lo aveva scelto come guida ufficiale.

"Ma se vi piaceva tanto – insinuò uno dei clienti scettici, non appena il soldato fu di nuovo libero di parlare – perché non l'avete seguita? Han detto che a Castel Sant'Angelo l'han fatta andare tutta sola..."

L'uomo d'armi abbassò lo sguardo, un po' a disagio: "Seguivamo gli ordini del Conte. La Contessa non ce l'ha chiesto, comunque. Altrimenti io l'avrei seguita."

Lo scettico stava per fare un'altra domanda, quando una notizia arrivò nel negozio come una folata di vento.

"La Contessa è tornata in città! La Contessa è qui!" urlava un ragazzo in strada, dando la voce a tutte le botteghe e a tutte le case.

Così come la maggior parte dei forlivesi, anche il Novacula e i suoi clienti si riversarono in strada e accorsero verso la piazza grande, dove, verosimilmente, la Contessa avrebbe fatto tappa prima di raggiungere il marito.


Caterina Sforza arrivò in Forlì senza averne dato annuncio, eppure, quando varcò le porte della città, una folla festante e calorosa la scortò fino al suo palazzo.

Malgrado le urla di gioia e le mani che battevano, Caterina non poté fare a meno di vedere anche qualche volto scuro, tra la gente, e qualche espressione contrariata. Ancora una volta la doppia anima di quella città la spaventava e la portava a chiedersi cosa mai sarebbe potuto accadere, nel caso in cui la situazione economica fosse precipitata all'improvviso.

Mentre il suo cavallo galoppava alla volta del palazzo, accompagnato dalle voci del forlivesi, Caterina si sforzava di pensare a cosa avrebbe detto a suo marito. Ci aveva pensato per tutto il viaggio, ma non aveva ancora trovato un insulto abbastanza volgare e offensivo.

Con lei erano rimasti solo pochi soldati. Molti di quelli che l'avevano affiancata fino all'uscita di Roma – Attilio Fossati compreso – erano dovuti tornare indietro dopo poco, per riprendere il loro posto e prepararsi a servire il nuovo castellano di Castel Sant'Angelo.

La vita del soldato era quella: prestare servizio al proprio signore e stare al proprio posto.

Una volta al palazzo, Caterina scese da cavallo, salutò per l'ultima volta la folla e chiese a due guardie di portarla da Girolamo.

Lo trovò in uno degli studioli. Era assieme a un amico che lo seguiva da anni, stando sempre nelle retrovie, ovvero Melchiorre Zaccheo, e a Vincenzo Codronchi.

Per un momento Caterina si bloccò sulla porta, alla vista di Codronchi, da lei stessa scacciato da Castel Sant'Angelo per insubordinazione.

Codronchi la guardò di sottecchi, studiandone la reazione. Appena era stato mandato via dal castello, si era subito affrettato a raggiungere Girolamo, che gli aveva sempre dimostrato amicizia.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora