Capitolo 154: Qualunque ferita, ma non la ferita del cuore

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Caterina sapeva di aver aspettato anche troppo. Era già il 30 agosto e ormai il suo stato non si poteva più nascondere in modo soddisfacente. Benché mancassero circa tre mesi alla data del parto, il pancione si profilava già senza fatica anche sotto le gonne più ampie e i vestiti più vaporosi.

Come si era aspettata la Contessa, quel bambino doveva essere già molto grande, così com'era stato Sforzino.

Aveva passato tutta la mattina a riflettere su quello che stava per fare. Da giorni, ormai, stava lavorando a un piano che disgustava lei per prima, ma, in fondo, sapeva di non avere altre vie d'uscita.

Aveva proposto una volta di più a Bianca di convincere Tommaso a dare le dimissioni, ma egli aveva immediatamente rifiutato. Pensare di cacciare con la forza il castellano era assurdo, perché una simile mossa, senza motivazioni valide, avrebbe rovinato la reputazione di Tommaso e avrebbe messo in dubbio la capacità di raziocinio della Contessa, che, agli occhi dei forlivesi, avrebbe cacciato un uomo valido senza alcuna ragione.

Dunque le era rimasta un'unica carta da giocare: indurre Tommaso a presentare spontanee dimissioni.

Tuttavia, il senso di colpa cominciava già a scavarle un buco nel petto e a poco valevano le giuste mozioni che si ripeteva nella mente.

Non aveva forse diritto anche lei alla felicità? Sì, ne era convinta.

E allora, si diceva, l'avrebbe perseguita, anche a costo di prevaricare e calpestare la felicità altrui, perché in fondo era lo stesso metodo che usavano tutti gli altri, nessuno escluso. Perfino Tommaso, che aveva sposato Bianca per puro capriccio.

Perché mai Caterina avrebbe dovuto essere l'unica a farsi degli scrupoli?

Perciò aveva preso la decisione e si era subito rivolta a Giovanni Ghetti, il capitano della Porta di Ravaldino. Era una testa di legno e proprio per quello era l'uomo adatto a quella missione.

Chiunque altro avrebbe potuto subodorare l'inganno, finendo non solo a disprezzare la Contessa, ma anche a sventare il suo piano.

Dopodiché, sempre con uno strano senso di nausea, Caterina aveva fatto in modo che Ottaviano e Giacomo stessero fuori dai piedi, per motivi diversi, ma ugualmente importanti.

E infine, con la morte nel cuore, ma convinta della validità delle sue posizioni, la Contessa si apprestò a mettere a frutto quei giorni di preparazione.

Da quando aveva affrontato seriamente con Giacomo la spinosa questione delle spie che stavano informando Ludovico Sforza su quello che accadeva alla rocca, Caterina aveva cominciato a trattare Tommaso con maggior accondiscendenza, mostrandosi con lui più remissiva e accomodante del solito.

Finito di svolgere le solite mansioni di ordine pubblico, aveva preso a fermarsi nel suo studiolo per chiacchierare del più e del meno, e così aveva principiato a fare anche dopo gli addestramenti di Ottaviano.

Aveva portato Tommaso non solo a rilassarsi, ma anche ad abbassare la guardia.

Il castellano, dapprima molto guardingo nei confronti di quel cambiamento, stava dando i primi segni di cedimento, facendosi sempre meno accorto e lasciandosi trascinare, quando la Contessa pareva permetterlo, da un trasporto che non aveva più osato mostrare da quando si era sposato con Bianca.

Così, studiatamente, Caterina si portò nello studiolo di Tommaso, appena dopo l'ora del pranzo, e lo trovò intento a riposarsi, seduto su una delle poltroncine, assorto in chissà quali pensieri.

"Mi chiedevo se..." cominciò a dire Caterina, mentre le guance le si imporporavano per il disagio.

Ora che si apprestava a mettere in scena il suo teatrino, si sentiva infinitamente piccola e meschina, non meglio di una comune criminale. Aveva, però, giurato a se stessa che avrebbe difeso Giacomo e il bambino che portava in grembo a ogni costo, senza pietà per niente e nessuno e non poteva venir meno a un giuramento.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora