Rovigo si era arresa e gli scontri tra veneziani e truppe estensi sembravano essersi momentaneamente placati.
I messaggeri entravano e uscivano a spron battuto dalle porte di Roma, per andare a riferire ogni minima novità al papa, che, dal canto suo, mandava direttive senza posa, come fosse lui stesso il generale a capo di Venezia.
In più le notizie da Civita non erano molto confortanti. Aveva sentito dire che suo nipote Girolamo si stava dimostrando restio a prendere parte ai consigli di guerra e che non pareva intenzionato a sottostare a nessuna regola militare.
Forse troppo tardi, Sisto IV si stava accorgendo di aver sottovalutato il fronte meridionale e che molti tra i suoi cardinali parlottavano sempre più spesso alle sue spalle, chiedendosi con sempre minor discrezione se papa Della Rovere fosse davvero l'uomo giusto per tenere le redini di Roma in un momento tanto delicato.
Caterina, nel frattempo, godeva della lontananza del marito come un carcerato gode dell'ora d'aria.
Si teneva informata sugli esiti degli scontri, certo, ma lo faceva con la curiosità di un pettegolo e non con la preoccupazione di una moglie.
Era più attenta alle notizie che le arrivavano da Imola e Forlì, le sue città. In particolare, le faceva piacere sapere che Imola era sempre tranquilla e che a Forlì, malgrado tutto, il clima era pacifico e i nuovi rivellini delle rocca di Ravaldino erano già pressoché perfetti.
Passava le sue giornate a ripassare le sue nozioni di alchimia, azzardandosi a preparare nuove misture e unguenti, giocava coi figli – soprattutto con Cesare e Bianca – e quando li lasciava con le balie si dedicava alla spada e all'equitazione.
Sisto IV non amava mostrarsi interessato apertamente all'arte bellica, perciò indagò con molta discrezione presso il maestro d'armi e gli altri soldati che aiutavano Caterina nei suoi addestramenti e tutti dissero di lei le migliori cose.
Gli dissero che cavalcava come pochi, riuscendo a restare in sella anche nelle curve prese a grande velocità. Il maestro d'armi fu particolarmente fiero nell'ammettere che la tecnica della giovane era già più che discreta, ma che, da quando l'aveva presa sotto la sua ala, era diventata eccellente.
Tutti erano pronti a tessere le lodi della giovane donna milanese che pareva avere in sé tutte le buone qualità della sua città d'origine: amava lavorare duramente, la fatica non la spaventava e preferiva il sudore della fronte all'agio di un buon salotto.
Inoltre Caterina, da quando era a Roma, non si era mai tirata indietro da nessuna battuta di caccia, nemmeno quando era in stato interessante, dimostrando un certo gusto per un'attività tutt'altro che sedenteria.
Un'idea bizzarra cominciò a frullare nella mente del papa, che però non osava parlare apertamente di quell'intuizione fugace che ormai riempiva i suoi pensieri.
"Certo, certo, la cavalleria pesante è una possibilità, ma la trovo così scontata..." sbuffò Roberto Malatesta, dandosi un colpo sulla coscia col pugno chiuso: "Questa guerra la voglio vincere, non mi basta un esito neutro!"
Malatesta dondolava il capo di quando in quando, figurandosi una carica di cavalleria, che, in passato, gli avrebbe di certo permesso una vittoria ampia e rapida, ma che da qualche tempo pareva essere una tecnica superata.
Sempre meno scontri venivano vinti grazie a una carica del genere. Adesso andavano di moda altre cose, armi più sofisticate, strategie e tattiche più raffinate, più subdole. Non era più solo uno scontro di forza, ma uno scontro di sotterfugi e sorprese...
"No, diavolo, la cavalleria non va bene per nulla..." borbottò tra sé, digrignando i denti come un cane rabbioso.
Tutti i presenti ascoltavano in silenzio, ben sapendo che presto il comandante si sarebbe deciso per l'attacco.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Narrativa StoricaCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...