Capitolo 1.2: Tè all'arsenico

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"Alex, quanti anni hai?"

"Sedici."

"In quale città vivi?"

"Evanston."

"Conosci l'uomo che ti sta accanto?"

"E' il mio papà."

"Ricordi il suo nome?"

"Sì, ma per me è solo papà."

"Perché le sta facendo queste domande?" chiese George irritato al medico. "Io sono suo padre".

"Per la signora siete gli zii."

"La signora è la zia, io sono il padre." "Sentirà chiamare così anche un uomo alto circa un metro e novanta, con i capelli castani, la barba rossa e gli occhi chiari. Se è stato nei paraggi negli ultimi sei giorni l'avrà visto seduto qui."

"C'è una madre?"

"No." "L'abbiamo cresciuta io e Thomas anche se tra di noi non ci sono legami di alcun tipo, non siamo neanche parenti. Si chiama Alex, ha sedici anni e non ha una madre. Non è complicato da capire."

"Potrebbe disegnarmi un piccolo albero genealogico? Così eviterò di fare le domande sbagliate." Il medico gli allungò il blocchetto e la penna che aveva nel taschino del camice, e tornò ad occuparsi della propria paziente. "Sai perché sei in ospedale?"

"Papà ha detto che ho avuto un incidente." Alex piegò il collo e la testa iniziò a girarle. "Dov'è successo?"

"Di fronte a casa." "Hai riportato un trauma alla testa e uno all'addome, ti sei rotta quattro dita della mano e hai subito una leggera distorsione del ginocchio destro."

"Che giorno è oggi?"

"Sabato."

"Lunedì devo andare a prendere Galileo dal veterinario." "Ho anche cerchiato la data sul calendario per non dimenticarlo, l'ultimo giorno di settembre."

"Lunedì era cinque giorni fa", la aggiornò George restituendo il blocchetto al proprietario. "Nel pomeriggio sei andata a prendere il cane e l'hai portato a casa. L'incidente è avvenuto dopo."

"Non lo ricordo."

"Un trauma cranico può provocare una lieve amnesia", la tranquillizzò il medico dando una scorsa agli appunti di George. "Chi è Thomas?"

"Il mio papà, uno dei due."

"Che lavoro fa?"

"Legge le previsioni del tempo in televisione."

"Ecco perché aveva un'aria familiare." "Mia moglie non perde un solo notiziario e quando la sera le chiedo se domani splenderà il sole risponde che non ne ha idea. Ha molte ammiratrici oltre alla mia signora?"

"Non ha mai fatto un secondo di fila al supermercato."

"Ce n'è qualcuna che gli dà più pensieri delle altre?"

"Sono tutte carine con lui." "Può andare a chiamarlo?"

George posò una mano sul braccio coperto della figlia. "Papà era stanco, è meglio lasciarlo riposare."

"Vorrei parlargli."

"Tutto quello che vuoi dire a papà puoi dirlo anche a me." George si avvicinò per raccogliere la confessione della figlia.

"Ho fatto la pipì", gli bisbigliò Alex all'orecchio. "Sul letto."

"Non importa, amore." "E' una buona notizia."

"E' un'ottima notizia", concordò il medico. "Stai facendo la pipì in un tubicino quindi non preoccuparti di trattenerla." "Questo dovrebbe lenire il dolore", disse mentre l'infermiera le iniettava un farmaco nell'ago infilato sul dorso della mano. "Ci vediamo domani."

L'effetto fu istantaneo. Il dolore si allontanò lasciandole solo la debolezza che la costrinse a chiudere gli occhi, anche se non era intenzionata a dormire. C'erano tante cose che doveva chiedere al padre e forse qualcosa chiese perché sentì la sua risposta.

"Dimmi, Alex."

Le migliaia di domande che aveva nella mente si accavallarono l'una sopra l'altra fondendosi in un lungo discorso senza senso e senza voce.

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