Capitolo 7.3 : L'aquila che vola

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Alex non amava niente della scuola, la cattiveria degli studenti era assodata e le lezioni erano un campo fertile per gli sbadigli. Certe volte invidiava le opportunità di divertimento di chi veniva cacciato dalla classe ma quel lunedì ebbe modo di ricredersi, starsene in segreteria a guardare la scialba assistente del preside che compilava una pila di moduli non le avrebbe offerto più stimoli di un'ora di biologia.

Per svagarsi si mise a frugare nella borsa e quando prese in mano i pianeti del progetto di Max, le si accese una lampadina. Judson Avenue si trovava a meno di dieci minuti a piedi dalla scuola, tragitto che per due anni aveva percorso ogni giorno per raggiungere le lezioni e che spesso aveva replicato il pomeriggio passeggiando con i cani. Stimando di essere in grado di portare il progetto alla zia Charlie tornando prima che la riunione con il preside fosse terminata, sgattaiolò fuori dall'edificio senza avvertire i genitori.

Nel parcheggio vide l'autista del padre accanto alla sua auto. Alex non sapeva come funzionasse il suo lavoro, forse a fine corsa voleva essere pagato e lei non aveva soldi con sé, così scartò l'idea di chiedergli di accompagnarla e si incamminò.

Le bastarono pochi passi per capire di essersi messa in un guaio. I polmoni accusarono per primi la fatica ma il ginocchio offeso nell'incidente si ribellò con più rancore, costringendola ad una sosta.

Quando le sagome della zia Charlie e dell'uomo che la stava aiutando a scaricare la spesa dall'auto si delinearono all'orizzonte, si sentì grata come un beduino del deserto alla vista dell'oasi.

Alex ignorava l'età del giudice Bell ma avrebbe scommesso che non avesse più di quarant'anni, nonostante i seriosi completi che indossava per il lavoro gliene aggiungessero almeno dieci. Era un uomo pedante e privo di senso dell'umorismo ma quando c'era da dare una mano David era sempre in prima linea, anche se si trattava di aiutare una vicina con la spesa.

"Ciao, David."

"Io e la zia Charlotte stavamo parlando proprio di te." "Come stai?"

"Bene." "L'unico al quale non l'ho ancora chiesto sei tu. Hai visto Buffalo? Il mio gatto bianco e nero."

"Purtroppo no." "Come sei arrivata fino a qui?"

"A piedi."

"Da casa?"

"Da scuola." "Mi stanno aspettando."

David raccolse gli ultimi due sacchetti della spesa e chiuse il bagagliaio. "Sto per andare in tribunale", disse. "Sistemo questi e ti accompagno io."

Alex sospettava che il difetto più grande del giudice non fosse l'essere privo di fantasia, come sosteneva a ragione il padre, ma che si sentisse sempre in diritto di decidere per il proprio interlocutore. David non chiedeva ma sentenziava, mettendo così spesso in difficoltà chi aveva di fronte.

"Papà non vuole che salga in auto con degli estranei", sussurrò Alex alla zia.

"David non è un estraneo."

"La regola dice che tutti gli uomini che non sono papà o papà sono estranei."

La preoccupazione per come avrebbe affrontato il viaggio di ritorno svanì quando quattro pneumatici inchiodarono in mezzo alla strada.

George scese dall'auto lasciando aperta la portiera e corse incontro alla figlia che abbracciò con calore.

"Ti avevo pregato di non uscire da sola".

"Perché non conosco la città ma qui sono a casa."

Charlie si avvicinò al fratello. "Dovete stare più attenti", lo sgridò. "Avrebbe potuto farsi male."

"Imparerai mai a farti gli affari tuoi?" "Thomas mi ha detto che sei stata tu a chiamarlo ieri sera. Cosa credevi di ottenere?"

David sopraggiunse alle spalle di Charlie. "Se il signore ti sta infastidendo dobbiamo avvisare la polizia", dichiarò con tono autoritario fissando il nuovo arrivato. "Magari sarà il caso che io mi presenti. Sono David Bell, il giudice Bell."

George squadrò l'uomo con sufficienza. "Interessante", rispose sardonico. "George Marcus Shepherd. Non sono giudice ma conosco chi potrebbe farti passare gli anni che ti separano dalla pensione dirimendo unicamente cause sulle deiezioni dei cani sopra i marciapiedi."

"David, lui è mio fratello", si affrettò a spiegare Charlie mettendo fine alla gara di machismo.

"Credevo avessi solo due fratelli maggiori", la ammonì il giudice con una leggera nota di irritazione.

"Ne ho anche uno più piccolo."

"Avrei gradito che me ne avessi parlato subito, l'avevo scambiato per un venditore di aspirapolveri."

George non si curò di migliorare la pessima impressione che aveva fatto al giudice. "Vuoi toglierti dai piedi?" gli domandò tirando a sé la sorella. "Charlie, tu e tuo marito dovete piantarla di immischiarvi nelle nostre vite perché se stiamo affondando è solo per colpa vostra." "E' già complicato in due, in quattro non ce la faremmo quindi smettetela di intromettervi."

David si schiarì l'ugola con enfasi. "George, il mio lavoro consiste nel far capire alle persone che c'è una gerarchia naturale da rispettare ad ogni livello." "I fratelli minori devono mantenere una condotta rispettosa nei confronti dei maggiori per poter permettere loro di svolgere al meglio il ruolo di guida a cui sono votati per diritto di nascita."

George strinse la mano della figlia. "Senti David, mi sembri un uomo intelligente quindi accetta un consiglio. Vai a farti fottere."

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