Capitolo 5.3 : I giganti dai piedi d'argilla

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Il palazzo nel quale si sarebbe svolta la festa era situato nel distretto finanziario della città. L'auto li lasciò sul limitare di una bassa gradinata che conduceva ad un edificio di vetri scuri, fuori dal quale campeggiava illuminata di azzurro la scritta Willis Tower.

"Papà, posso guardare in alto?"

"Certo, tesoro." "Siamo diretti al novantanovesimo piano", la avvertì. "Vertigini?"

"Non lo so, non sono mai salita tanto in alto." "Salteremo sulle nuvole?"

"Cerca di non farci sfigurare con i tuoi discorsi stupidi", la redarguì la zia. "Credono che l'abbiamo cresciuta noi", aggiunse Martha rivolta al marito che la stava fissando con disapprovazione. "Ho raccontato che vive a Parigi. Immagino che tu non stia studiando il francese."

"Conosco delle parole in italiano. Parigi e l'Italia sono vicine?"

"La Francia e l'Italia confinano per molti chilometri", le rispose il padre mentre si dirigevano verso gli ascensori. "Thomas ti ha insegnato qualche parola in italiano?"

"So quelle che ripete più spesso. Bacio bacio, bambina mia, andiamo, siamo in ritardo, sei tutta la mia vita, porca miseria, brutto stronzo."

"Basta così, Alex."

"Conosco anche gli insulti."

"Alcuni di questi sono insulti." "Non devi mentire, se ti chiederanno qualcosa racconta loro la verità."

L'ascensore completò la salita in pochi secondi. La cabina si arrestò dolcemente al novantanovesimo piano e fece scorrere le porte su un corridoio. Un uomo prese in consegna i cappotti e la pelliccia della zia ed augurò loro una buona serata.

La sala del ricevimento iniziava alla fine del corridoio. Chiunque ne avesse curato l'allestimento si era preoccupato di far giungere un messaggio preciso agli invitati puntando tutto sul colore della ricchezza, il giallo oro. Le luci incassate nel soffitto e quelle proiettate sulle colonne di cemento diffondevano bagliori dorati amplificati dai riflessi dei vetri. Le elaborate composizioni di fiori, l'intrattenimento musicale affidato ad un quartetto d'archi e la pregiata cristalleria dei calici di champagne, trasudavano opulenza.

Il padre le aveva prospettato una cena ma non c'erano né tavoli né sedie, in compenso il piano era disseminato di tavolini da aperitivo intorno ai quali erano assiepati piccoli gruppi di persone. Altri invitati affollavano l'angolo dove era stato allestito il bar. Se la sala non era al completo, lo sarebbe stata a breve.

"Dividiamoci", ordinò Martha al marito. "Dobbiamo salutare ciascuno di questi uomini."

George non si mosse di un passo, raccolse un flûte di champagne dal vassoio di un cameriere e lo svuotò tutto in una volta.

"Non sei curiosa di vedere la città dall'alto?" chiese alla figlia.

"Sì, papà."

"Dopo di te."

Alex si avvicinò alle vetrate con riverenza. Oltre il vetro un reticolo di strade illuminate che convergevano al di là dell'orizzonte, tagliava il tessuto piatto del South Side in forme geometriche irregolari. A est la macchia buia del lago Michigan si arrampicava fino al cielo notturno confondendosi con esso per avvolgere la città come all'interno di una sciarpa nera.

"Hai visto?" domandò al padre indicando con meraviglia il panorama.

"Hai il mondo ai tuoi piedi."

Alex lo guardò perplessa. "Si vede lontano."

"Anche." "Hai ragione, quando la nebbia lo consente da questo punto si possono osservare i confini di quattro stati." "Perché prima mi hai chiesto il permesso di guardare in alto?"

"La mamma non voleva che lo facessi, diceva che il mio collo sarebbe diventato lungo come quello delle giraffe e le giraffe stanno antipatiche a tutti. A te stanno antipatiche?"

"No."

"Nemmeno a me ma la mamma non si poteva contraddire." "Che cosa state festeggiando?"

"Il mio rientro nella gestione delle attività di famiglia."

"Il nuovo lavoro ti piace?"

(segue)

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