Kingston

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8.44 a.m.

“Non hai letto il mio appunto?” Un ragazzo fece il suo ingresso nell’ufficio a testa alta. La sua marcia impostata che mirava ad intimidire l’avversario, venne però vanificata dalla caramella che stava succhiando. L’infido sassolino di zucchero gli andò di traverso provocandogli un attacco di tosse convulsa che lo ridusse alle lacrime per lo sforzo.

“Buongiorno, o soave fanciulla”, lo salutò George deridendolo. “Grazie per esserti fatto annunciare.”

“Traduci queste mail.” Il ragazzo lanciò una cartellina sulla scrivania. “Sono in francese.”

“Tradurre documenti non rientra tra le mie mansioni.”

“Sono il tuo diretto superiore, devi fare quello che ti ordino io”.

“Così mi fai preoccupare, Mimì”. “Cosa ti priva del buonumore già alle otto e quarantacinque del mattino? Tuo marito ti ha rubato il rossetto?”

“Harry è un avvocato in difesa dei diritti civili, potrei denunciarti per omofobia.”

“Chiederò al mio team di undici avvocati di sputare le ossa del tuo studente di legge fresco di diploma, così avrai qualcosa da seppellire.” George gettò la cartellina con le mail nel cestino. “Mi hai costretto a dimettermi, ricordi? Sai che ho anch’io una famiglia da mantenere?”

“Piantala con questa farsa, sei al sesto posto della classifica dei dieci uomini più facoltosi della città.” “Se fatturi davvero quelle cifre spropositate perché sei venuto a lavorare da noi?”

“Di tanto in tanto mi piace mescolarmi con il proletariato, mi fa apprezzare di più il numero a nove zeri che leggo sul saldo del conto corrente”. “C’è altro, Kingston? Avrei delle questioni da risolvere.”

“Alla riunione delle sedici e trenta sarà presente anche mio nonno.”

“Che senso ha la mia partecipazione a quell’incontro?”

“Gli ordini del presidente non si discutono.”

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