Capitolo 1.6: Tè all'arsenico

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Al suo risveglio l'idilliaco clima di collaborazione tra i genitori subì un rapido deterioramento.

"Buongiorno, tesoro." Thomas le accarezzò la mano sotto al lenzuolo. "Mi sei mancata da morire."

"Sei rimasto."

"Tu sei qui, dove sarei dovuto andare?"

"A casa." Il padre tirò fuori da un borsone una forbice con la quale tagliò la cravatta che li teneva uniti. "Siamo stati legati tutta la notte?"

"Di tanto in tanto George ha delle buone idee." "Papà mi ha raccontato che ti sei spaventata quando ti sei guardata allo specchio."

"La mia faccia è rovinata."

"I graffi sono superficiali e tra qualche giorno il gonfiore sparirà." "Ti ricordi quando avevo ricevuto quella gomitata sul naso in piscina e la mattina dopo somigliavo ad un panda? A te è capitata la stessa cosa."

Thomas prese un paio di guanti lunghi da una tasca del borsone e tagliò quello sinistro in corrispondenza del polso, realizzando inoltre uno spacco verticale sul dorso della mano. Poi staccò la sacca della flebo dall'asta e infilò dentro il resto del guanto che fece scendere attraverso il filo per coprire il braccio fino alla spalla.

Quell'accorgimento consentì ad Alex di godersi il ritorno in camera del padre. George abbracciava un pacco sopra il quale era appoggiato un bicchiere di caffè con il coperchio.

"La mia sirenetta ha ritrovato la voce?"

"Sì, papà."

"La nonna Louise ti ha fatto un regalo." George si tolse il cappotto e andò ad occupare la poltrona accanto a quella di Thomas. "La notte ha portato consiglio?" gli domandò consegnandogli il caffè.

"Quindi non sei del tutto inutile."

"Oserei definirmi indispensabile."

"Che cosa ha detto?" chiese Alex.

"Che non sono del tutto inutile", le spiegò George.

"Capisci l'italiano?"

"Solo gli insulti e le frasi cattive."

Thomas mise subito alla prova la sua abilità. "Stronzo."

"Questo era un insulto."

"Grandissimo figlio di puttana."

"Questa era una frase cattiva, gratuitamente cattiva." Per tutta risposta Thomas gli mostrò il dito medio. "Non fare quei gestacci osceni davanti alla bambina."

"Non padroneggio bene la tua lingua, non mi resta che esprimermi a gesti."

"Ti crederei se non sapessi che sei bilingue dalla nascita", ribattè George piccato. "Non ammetto l'uso di quei termini, in nessuna lingua."

Alex scongiurò una rissa tra i genitori con un semplice diversivo.

"Chi mi aiuta a scartare il regalo della nonna?"

L'espediente funzionò ma per poco. Il pacco conteneva una bambola con gli occhi verdi e le trecce bionde. Invece di contribuire a placare gli animi, quel pensiero infantile diede nuovo slancio alla crisi.

"Ti piace?" le domandò George.

Thomas rispose al posto della figlia. "Le piacerebbe se avesse tre anni." "Dobbiamo ricordarci di dire alla nonna che sei cresciuta per le bambole, e da come mi sta fissando papà ci sarà da trovare un modo per spiegarlo anche a lui." "Se ti può consolare siamo sulla stessa barca."

"Sono stato io a chiedere a mia madre di comprarle un giocattolo."

"Ritiro tutto, se io sono su una barca tu stai galleggiando in mezzo all'oceano sopra ad un canotto bucato."

"Un mese fa le abbiamo regalato un peluche per il compleanno", gli ricordò George. "Che cos'hai oggi?"

"Io potrei risponderti, dimmi di te." "Alex sta male, abbiamo perso il cane, i gatti sono dispersi e tu sei l'immagine della serenità."

George non si sentiva l'immagine della serenità ma se all'esterno dava quell'impressione allora stava fingendo davvero bene.

"Almeno illuminami con una delle tue frasi fatte", lo provocò Thomas.

"Non uso frasi fatte."

"Metà delle parole che escono dalla tua bocca le hai sentite dire da qualcun altro e l'altra metà sono cose che non pensi."

"Questa mattina sembri posseduto."

"Posso dirti anche il giorno della settimana in cui hai sentito pronunciare questa frase." "Forza, George. Se per una volta non seguirai il gregge non ti accadrà nulla a parte guadagnare la mia stima, devi pur avere qualcosa di originale dentro."

"Sto male anch'io."

"Si vede, hai dimenticato di indossare la cravatta."

"Non sono abituato ad esternare i sentimenti."

"Stronzate", sbottò Thomas.

George non aveva intenzione di imbarcarsi in una discussione polemica in un giorno di festa.

"Dov'è la mia cravatta?" chiese lasciando cadere la diatriba.

Thomas raccattò i ritagli di stoffa dal pavimento e glieli lanciò contro. "Troppi nodi", fu la scarna giustificazione.

Messo di fronte alla sua cravatta sbrindellata, George divenne il ritratto dello smarrimento. "Il nodo era uno solo, sarebbe bastato tirassi quest'estremità." La facilità con cui sciolse l'intreccio mozzato gli fece capire come Thomas non ci avesse nemmeno provato. Restando fedele al proprio proposito, piegò con cura quella che fino a poco prima era stata una cravatta e se la mise in tasca senza profferire lamento.

"Ti manderò un bigliettino di condoglianze per la tua perdita", infierì Thomas. "Ne avrai mille identiche."

"Questa era diversa."

"Faceva schifo come le altre."

"Sta' zitto", gli rispose George in italiano, presumendo che la figlia non avrebbe capito.

La lingua del padre era un mistero per Alex ma le parole che usava più spesso le erano entrate dentro per osmosi.

"Soltanto voi due riuscireste a litigare per una bambola." "Io preferisco i peluches ma ad Anjelica piacerà, la regaleremo a lei."

"Chi è Anjelica?"

"La bambina dello zio William. Hanno deciso che le daranno questo nome."

"Charlie ha solo figli maschi."

"Il bambino che sta crescendo nella sua pancia."

"E' nato lunedì ed è un maschio."

"Doveva nascere a gennaio."

"Alcuni neonati sono impazienti di venire al mondo."

"E' una femmina", disse Thomas.

"E' un maschio", ripetè George. "Ne ignoro il nome ma so che Charlie ha voluto che le portassero dei palloncini azzurri."

Il piano di Alex di dirottare il discorso su un altro argomento si arenò subito e i genitori non si rivolsero più la parola per molte ore.

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