Capitolo 1

3.2K 70 4
                                    


Ogni sabato sera alla stessa ora un uomo entrava nel bar in cui lavoravo, acquistava due bottigliette di birra, le beveva in silenzio, pagava il suo conto poi le abbandonava sempre nello stesso posto. Ogni sabato sera alla stessa ora, quando il cliente se ne andava, fissavo a lungo quelle bottiglie solitarie e lasciavo che mi trasportassero indietro nel tempo.
Riportavano in vita diversi ricordi quelle birre: occhi verdi, belli e arrabbiati con il mondo; labbra rosse e turgide da cui pendeva sempre una sigaretta; un sorriso raro e togli fiato, come una rinfrescante ventata in piena estate; dita grosse e ruvide, capaci di incrinare mura e di dare le più delicate carezze allo stesso tempo.
Era unico nel suo genere lui. Lo avevo capito nel momento in cui aveva varcato la soglia del bar per la prima volta. In una stanza affollata di ragazzi vivaci e impaziente di tornare a casa con qualcuna, avevo individuato lui, il lupo solitario che guardava tutti come se appartenessero a un pianeta diverso.
Come il cliente che abbandonava le birre, anche lui ordinava sempre lo stesso: Jack Daniels. Si sedeva di fronte a me e mentre si gustava il suo liquore in silenzio mi studiava con occhi meticolosi. Io, giovane e perdutamente innamorata del misterioso sconosciuto che ci visitava solo nei weekend, arrossivo e gli sorridevo. Lui invece non sorrideva mai. Ma con un padre alcolizzato, una madre suicida e un fratello morto di overdose, nessuno lo poteva veramente biasimare per questo.  Era rotto dalla nascita e io avevo avuto la sciocca pretesa di mettere insieme i suoi pezzi. Nel seguitare ciò, finii per frantumare i miei.

"Layla!" Il tono infastidito di Patrick, il proprietario dell'Elisir, interruppe il vagare della mia mente. Scossi la testa e mi scusai , poi tornai a focalizzare sul mio lavoro. Sorrisi quando vidi Dylan dinanzi a me.
"Hei," mi salutò con il solito sorriso docile e premuroso. Due sottili rughe spuntarono ai lati della sua bocca e i suoi occhi neri e stanchi si addolcirono.
Postai un bicchiere sotto la spillatrice di birra e lo riempii per il mio amico. Glielo misi davanti e lui lo ingurgitò con una sola mossa.
Dylan era il tipico trentenne consumato dal degrado di Chicago: da ragazzino si era lasciato trascinare in uno dei peggiori giri della West Side e da lì non era più uscito. Tragico, ma non raro.
"Tutto bene con Katie? L'ho vista stamattina e non mi sembrava del tutto okay..." Iniziai a sciacquare i bicchieri impilati dentro il lavello.
Dylan abbassò lo sguardo sul bicchiere vuoto e, distrattamente, ne tracciò i bordi con l'indice. Aveva un'aria pensosa e triste.
"Avete litigato di nuovo?" domandai accigliata. Lui annuì.
"Quant'è grave?"
"Sta pensando di andarsene e portare le gemelle con lei...." mormorò con tono cupo. Sussultai inorridita dalla rivelazione. Strinsi la sua mano e , quando sollevò lo sguardo su di me, gli rivolsi un sorriso compassionevole. Non ricordavo un tempo in cui Katie e Dylan, miei vicini e cari amici, non erano insieme. Erano complementari loro due, tant'è che nel pensare all'uno non potevo far a meno di veder l'altra proiettata al suo fianco; l'idea di una loro eventuale separazione era oltre i limiti dell'immaginazione.
"Sei tutto quello che ha Dylan, non ti lascerebbe mai indietro..." lo consolai accarezzando il dorso della mano. Lui sospirò abbattuto. "Temo che stavolta abbia ragione a farlo...."
Ritirai la mano e la mia compassione si trasformò in terrore. "Dylan...che hai combinato?"
Angoscia e senso di colpa duettarono sul suo viso mentre si grattava nervosamente la nuca. Aprì bocca per rispondere, ma non fece in tempo a parlare che la porta del locale venne bruscamente spalancata, guadagnandosi l'attenzione di tutti i presenti. M'irrigidii e, ancora prima di capire chi fosse, allungai la mano sotto il bancone e afferrai la pistola che tenevamo in caso di necessità.

"Belov!" Esclamò una voce maschile, roca e adirata.  Presi profondi respiri per mantenere la calma, sebbene fossi ancora travolta dalla trepidazione. Emisi un sussulto quando l'uomo incappucciato che irruppe nel bar, un soggetto alto e tarchiato, afferrò Dylan dalle spalle e lo sbatté con tenacia contro il muro. Mi guardai intorno in cerca di Patrick, ma di lui non c'era più traccia. Doveva essere uscito prima.
Urla e grida d'aiuto provennero dal dal fondo del locale, in cui di solito i clienti s'intrattenevano a biliardo, o corteggiavano le ragazze che incontravano. Seguitò un andirivieni di individui terrorizzati dalla prospettiva di diventare vittime delle solite sparatorie del ghetto.
Impugnai la calibro 22 in mano e mi affrettai a soccorrere Dylan.
"Hai idea di quello che hai fatto! Come pensi di ripagare il tuo debito?" L'uomo che iniziò il caos gridò a Dylan, sbattendolo una seconda volta contro la parete. Cercai di impostarmi fra i due uomini, intanto sentenziai, "non qui.." Quando ebbi la possibilità di vedere il volto dell'aggressore, fui sorpresa nel trovare il tenero viso di un ragazzino che non poteva avere più di diciotto anni. Provai una stretta al cuore. Chicago, pedofila e infame, se li prendeva sempre più piccoli. Li persuadeva e li seduceva come una succube, convincendoli che la criminalità fosse l'unico antidoto contro la miseria.
"Non ti intromettere," ringhiò il ragazzino serrando i denti e mettendo su un'espressione minacciosa.
"Layla, è tutto apposto. Torna a lavorare," mormorò Dylan alle mie spalle.
"Ascolta il tuo amico e stanne fuori. Non è me che deve temere comunque," bofonchiò l'altro.
"Chi ti ha mandato?" balbettò Dylan, la sua voce improvvisamente carica di terrore. Il viso dai lineamenti morbidi del ragazzo si indurì e per un momento i suoi occhi si tinsero di compassione. Feci un passo indietro e misi via l'arma. Il ragazzo era lì per avvertirlo, non gli avrebbe fatto del male.
"Chi ti ha mandato?" Questa volta fui io a chiedere. Il ragazzo sospirò, poi pronunciò il nome che sia io sia Dylan temevamo di sentire.
"I Donovan. I Donovan rivogliono i loro soldi."

Bulletproof HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora