Da quando avevo smesso di fare uso delle mie pillole le mie notti erano diventate lunghe sessioni di preghiere e invocazioni di Dio per combattere il silenzio inquietante del buio e delle paure che esso implicava. Diffidavo della notte. Diffidavo di abbassare la guardia nell'oscurità ed entrare in uno stato di incoscienza in cui Petrovsky poteva riacquisire vita e tornare a torturarmi. A volte rivivevo la scena anche da sveglia. Talvolta, anche dopo essermi risvegliata dall'incubo, rimanevo immobile e intirizzita fra sonno e realtà. Quella era la parte peggiore: sapere di essere svegli e non riuscire né a gridare aiuto né a muoversi. Duravano qualche decina di secondi le paralisi del sonno, ma erano secondi in cui il tempo si fermava e il silenzio diventava violento.
Quando uscivo dallo stato di immobilità, mi alzavo dal mio letto e mi infilavo in quello di Jamie. Stringevo mio figlio e, per qualche bizzarro motivo, trovavo conforto e sicurezza nella sua vicinanza.Quella settimana non avevo chiuso occhio, per cui il sonno mi tentava come mai prima. Il mio corpo era esausto, i miei occhi annichiliti dalla mancanza di riposo. Fissai a lungo la luce della lampada accesa e inalai il cuscino che emanava il dolorosamente familiare profumo di Cole. Nemmeno la luce artificiale poteva ingannare i demoni che mi perseguitavano nel buio. Il mio cuore batteva all'impazzata, le mie braccia erano coperte dai brividi e i miei piedi tremavano sotto la coperta. Strizzai gli occhi e recitai una preghiera a memoria. Per un attimo mi sentii al sicuro, ma poi una voce nella mia testa mi sussurrò che Dio era troppo deluso dallo stile di vita che avevo conseguito fino a quel momento per farmi il favore di scacciare i demoni via dalla stanza. Paura, senso di colpa, disgusto e angoscia formavano una terribile miscela nelle cavità del mio petto. Cominciai a piangere, come facevo sempre quando la paura iniziava a mangiarmi viva. Abbracciai il cuscino, mi rannicchiai portando le gambe al petto e piansi ininterrottamente, sovrastata dalle diverse emozioni. Era la frustrazione di avere sonno e non poter dormire, di amare un uomo che non potevo avere, di avere un altro bambino a cui non avrei potuto dare il futuro che si meritava.
Sobbalzai quando qualcuno bussò alla porta. "A-avanti..." farfugliai fra un singulto e l'altro. Riconobbi la sagoma di Cole in penombra e un imminente sollievo mi evase. "Oh piccola, che è successo?" Domandò sedendosi sul bordo del letto accanto a me.
"H-ho troppo s-sonno...." singhiozzai affondando il viso nel cuscino. "Non posso...capisci? Non posso dormire..." biascicai con tono stridulo e esile.
"Vuoi che resti qui?" Volevo che restasse più di ogni altra cosa al mondo. Non perché era lui in particolare: la vergognosa verità è che la presenza fisica di chiunque sarebbe stata meglio del nulla.
Ahimè, ero quasi certa di cosa sarebbe successo se fosse rimasto e non avevo intenzione di cadere nel tranello e svegliarmi l'indomani pentita e arrabbiata con me stessa.
"Non faremo niente..." mi incitò lui. Una voce nella mia testa mi spronò a permettergli di restare, così da poter chiudere occhio.
"Prometti che mi terrai soltanto?"
"Te lo prometto." Annuii in segno di accordo e mi spostai nell'altro lato del letto. Cole si infilò sotto le coperte e avvicinò il suo corpo al mio. Circondai la sua vita con il braccio e affondai il viso nel suo petto nudo. Il calore della sua vicinanza trasmise un'ondata di quiete nel mio corpo. Aveva ragione: non ebbi nemmeno il tempo di pensare a lui in quel modo; chiusi gli occhi e nell'arco di pochi secondi mi addormentai come non facevo da settimane.*
Dopo la dormita più lunga e soddisfacente della mia esistenza, mi svegliai all'odore di caffè, uova e bacon fritto.
Emisi un lungo gemito mentre sbadigliavo e mi stiracchiavo, ancora inebetita dal sonno. Sussultai quando trovai Cole seduto sul letto accanto ad un ampio vassoio pieno di cibo. Il mio primo istinto fu quello di guardarmi attorno e assorbire la stanza del tutto estranea. Mi ricordai all'improvviso della notte precedente e mi rilassai.
"Buongiorno," mi parlò Cole con un sorriso sereno che contraddiceva ogni marchio violaceo lasciato sul suo viso. "Quel sadico arrogante imbecille!" Bofonchiai con furia mentre sgattaiolavo dal letto per avvicinarmi a Cole e analizzare la sua faccia. Aveva un aspetto anche più doloroso della sera prima. L'angolo della sua bocca era circondato da un ampio livido ovale; l'area fra naso e occhi aveva preso un insolito colore giallo-bluastro; il sopracciglio era attraversato da un cerotto spesso e lo zigomo presentava un altro livido con un sottile taglio . Avevo visto mio Tom fare molto di peggio, ma ciò non migliorava la situazione.
"Dominic è passato stamattina e mi ha costretto a metterlo," spiegò indicando il cerotto sul sopracciglio. "Non mi guardare così. Non è terribile come sembra..."
"Mi dispiace, avrei dovuto prevederlo..." farfugliai analizzando ogni singola ferita con i miei occhi.
Cole alzò le spalle e rispose, "non ci pensare più." Spinse leggermente il vassoio verso di me. Mi sedetti accanto a lui e iniziai a mangiare la mia colazione in silenzio. Cole mi osservava con aria sognante, come fossi un quadro di Picasso che vedeva per la prima volta.
La colazione era deliziosa, ma non riuscii a finirla poiché venni interrotta da un capriccioso voltastomaco che mi fece correre in bagno. Rigettai tutto nel water e mentre lo facevo sentii un paio di mani reggermi i capelli dietro la testa. "Va via," biascicai in imbarazzo. Cole mi ignorò e restò al mio fianco finché non ebbi terminato. Tirai giù lo scarico e mi sciacqua la bocca prima con il collutorio per sbarazzarmi del sapore rancido.
"Va meglio?" Chiese sedendosi sul bordo della vasca. Annuii vagamente e intanto sollevavo l'orlo della maglietta per controllare il mio stomaco. "Non mi dai tregua vedo," sussurrai. "È così tutte le mattine...Jamie era più-Oh!"
Ebbi un'improvvisa rivelazione. Mi voltai verso Cole, un sorriso euforico possedeva le mie labbra. "E' la diciassettesima settimana! Possiamo...possiamo scoprire il sesso finalmente!" Cole sbarrò gli occhi e impallidì. Era diventato tutto troppo vero all'improvviso.
"Oh mio Dio!" Esclamai facendo un salto di gioia mentre mi avvicinavo a lui. "Saprò se è maschio e femmina!"
"Femmina?" Un'espressione terrorizzata comparve sul suo volto. Deglutì, come se gli avessi appena comunicato della possibile avvenuta di una catastrofe. Ridacchiai. "Avresti qualcosa contro?" Lo stuzzicai. Si grattò la nuca nervosamente e si alzò in piedi. "No, no," si affrettò a dire. "È che...non sono...non sono mai stato bravo ad associare con le femmine..."
"Tesoro, tu non sai associare con nessuno," precisai prendendo la sua mano. "Ma sarebbe diverso comunque...ti verrà spontaneo, vedrai..." Posai inconsciamente la mano sulla sua guancia violacea e fissai i suoi occhi per un breve istante. Quando vidi qualcosa torcersi nelle sue iridi, forse lo sviluppo di una avida speranza, mi sottrassi indietro e gli diedi le spalle. Raccolsi i miei capelli in una coda molle e tornai nella sua stanza.
"Devo tornare a casa...Jamie sarà già sveglio a quest'ora."
"Resta ancora un po'," provò a persuadermi.
"Ho delle faccende da sbrigare. Dannazione...mi tocca cercare un appartamento nuovo," sbuffai infilandomi i jeans.
"Vuoi veramente trasferirti quindi?"
"Certo. Non parlavo a vanvera. Non posso continuare a vivere lì dopo quello che ha detto." Mi misi la scarpa sinistra.
"Non che voglia prendere la sua parte...ma...non stai un po' esage-...ehm...cioè... voglio dire, non è una decisione un po' estrema?" Lo fulminai con lo sguardo. "Stammi a sentire Coleman Donovan," gli puntai il dito contro, un'abitudine che avevo sviluppato nel corso delle nostre innumerevoli liti. "Deve ancora nascere l'uomo che mi parlerà in quel modo e pensare di farla franca. Non sarò un peso per nessuno. Non mi importa se è mio fratello. Se avessi saputo prima che Jamie è un problema per lui non gli avrei permesso di farmi nessuno di quei favori," sbottai e tornai ad infilarmi l'altra scarpa.
"Non credo che tu abbia capito quello che ti voleva comunicare...secondo me-" Smise di parlare quando colse la mia irritazione. Per quanto infantile fosse, non ero in vena di essere contraddetta sull'argomento. Mi sembrava assurdo il fatto che stesse empatizzando con l'uomo che gli aveva dato della "puttana" e che gli aveva rotto il naso.
"Se é veramente quello che vuoi...vieni ad abitare con me..." Lo guardai come fosse pazzo. C'erano decine di ragioni per cui quell'idea era fuori luogo. Scelsi la più oggettiva e la meno rilevante, "la tua casa è troppo lontana dalla scuola di Jamie. Non farò in tempo a portarlo."
"Ci penserò io."
"No."
"Non essere testarda. Non riusciresti comunque a portarlo senza fare tardi a lavoro e non hai modo di andarlo a prendere a mezzogiorno. Lascia che ci pensi io." Scossi la testa, decisa di non accettare alcun gesto caritatevole a nome di mio figlio. "Chiederò a Gwen, la figlia dei Clarks. Gli faceva da babysitter quando era piccolo."
"Posso essere io il suo babysit-"
"Cole. Ho detto di no," lo interruppi con un tono di voce più aspro di quanto avessi voluto. Cole si inginocchiò accanto a me e mise le mani sulle mie cosce, come un bambino che vuole convincere la mamma a lasciarlo giocare al parco con gli amici. "Ho bisogno di imparare, no? Tanto vale-"
"Praticare su mio figlio?"
"-lasciarmi fare una cosa che beneficerà entrambi."
"Non lo so. Non mi piace l'idea di abbandonarlo dopo quello che ha detto Tom."
"Ma non lo stai abbandonando," insistette con voce persuasiva. "Vedila così: io e Jamie dovremo associare per forza quando il bambino nascerà. Questa sarà l'opportunità per conoscerci meglio, no?"
Sbuffai, giungendo alla conclusione che tutti i punti che aveva elencato erano validi. "Bene."
"Quindi verrai a vivere con me?"
"No! Cosa te lo fa...oh..." Mi ero scordata che l'oggetto della discussione era quello. Mi alzai in piedi e sbuffai di nuovo, sovrastata dall'indecisione. "Cole...non possiamo vivere insieme. Non avrebbe senso..." un sospiro di esasperazione lasciò le sue labbra mentre si prendeva la testa fra le mani. Fece per sfregarsi gli occhi quando si ricordò dei lividi e ne fece a meno. Imprecò a bassa voce e sospirò. Il suo sforzo di essere paziente era più che evidente e lo apprezzavo.
"Non succederà niente. Te lo prometto."
"Smettila di dire quella frase. Non puoi promettermi che non succederà niente..."
"Te lo posso promettere eccome. Ho rispettato la tua decisione fino a questo momento, no?"
"Supponiamo per un momento che questo sia possibile...come faresti con la figlia di Nevarra? Se viene e mi trova a casa tua..."
"Non vivremo in quella casa. Io mi trasferirò qui, ne ho già parlato con Dom. Voglio essere il più vicino possibile a mio figlio." Aggrottai la fronte, stupita e compiaciuta della sua conclusione.
"Cole...apprezzo il gesto, davvero...ma vivere insieme senza stare insieme? non credi sia un po'...bizzarro?" Scosse la testa con esorbitante entusiasmo.
"Niente affatto. Sarà una collaborazione fra me e te per far sentire il bambino amato e parte di una famiglia. Non vuoi che sia un altro di quei figli che si ribellano perché i genitori sono-"
"Okay okay! Ho capito il tuo punto. No, non voglio che si senta in quel modo...ma..." sbuffai sprofondando progressivamente nel dilemma. "Siamo noi Cole...non facciamo altro che litigare, come faremo a vivere insieme?"
"Rispetterò la tua decisione, ecco come faremo. Ti prometto che non farò niente per manipolarti o farti cambiare idea. Saremo amici. Amici che condividono un figlio, ecco." Studiai la sua espressione in cerca di un segno di malizia o menzogna, ma era le sue intenzioni erano genuine. In un mare di indecisioni, la sua certezza e la sua determinazione erano intriganti. Prima di rendermene conto stavo valutando l'opzione. Iniziai a pensare che, in effetti, passare più tempo insieme era quello di cui avevamo bisogno per mettere da parte i nostri conflitti e costruire un rapporto più sano prima di accogliere il bambino.
Mi morsi il labbro e fissai Cole. I suoi occhi mi incitavano ad annuire, a dare qualunque segno di accettazione.
"Non ci posso credere che lo sto facendo..." sussurrai a me stessa e le pupille di Cole si espansero dall'incredulità.
"Bene. Verremo a vivere con te."
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Bulletproof Hearts
Teen FictionLayla, una giovane mamma single, lotta per garantire un futuro migliore al proprio figlio in una delle zone più pericolose di Chicago:la West Side. Sembra tutto procedere con normalità, fino a quando Tom-suo fratello- accetta di stipulare affa...