Capitolo 49

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19 marzo, ore 03:21

Ero intrappolata in una fossa buia, senza luce, senza ossigeno con cui riempire i polmoni.
In questa dimensione parallela Petrovsky mi aveva privata di ogni mio diritto umano: non potevo muovermi, non potevo parlare, non potevo vedere. Mi aveva però lasciato l'udito, cosicché potessi sentire la sua risata trionfante mentre abusava del mio corpo e violava il mio spirito.
E io giacevo in quella fossa, incapace di proteggermi o di gridare aiuto in attesa che Cole arrivasse.
Negli incubi precedenti Cole non tardava mai ad arrivare. Era solito svegliarmi prima che Petrovsky potesse mettere in atto le sue malevoli intenzioni, ma questa volta che non potevo gridare, Cole non poteva sentirmi. E non sarebbe arrivato.
Le lacrime diventavano secche sulle mie guance e i capelli si appiccicavano al mio viso. Sudore freddo bagnava la mia fronte e il mio cuore batteva tanto forte che pensavo sarebbe esploso nel mio petto mentre lottavo per una boccata d'aria dentro quella fossa abbandonata da Dio.
"Dov'è il tuo Cole adesso?" Sibilò Petrovsky nel mio orecchio e il suo fiato carico di alcool penetrò le mie narici.
'Arriverà,' fu ciò che provai a dire senza successo.
"Credi che ti salverà da me?" Chiese mordendo e succhiando la pelle sul mio collo. Provai a muovermi ma non ci riuscii. Qualcosa mi teneva ferma, in una posizione supina che rendeva il mio corpo facilmente accessibile al mio tormentatore.
"E dov'è il tuo Jessie?" Circondò il mio collo con le mani e lo strizzò avidamente fra le dita mentre mi penetrava bruscamente. "Come l'hai premiato quando mi ha mandato in ospedale quella volta? Ero stato fottutamente gentile con te. Ho provato a baciarti ma non ti ho obbligata a fare niente. Me ne sono andato quando hai detto che non volevi, non ti ho fatto male. Non ti ho ferito. E tu che hai fatto in cambio?" La sua voce si caricò di un tono accusatorio e minaccioso che mi fece rabbrividire. Aprì bocca per rispondere, per scusarmi di aver commesso quell'errore che ora mi costava tutto ciò che avevo. Ma, ancora una volta, niente uscì.
"Ma voi donne siete tutte così. Tutte luride puttane pronte a metterci i piedi in testa alla prima occasione. Perciò dimmi perché dovrei smettere? Perché dovrei concederti la pietà che il tuo ragazzo non ha concesso a me a causa tua?" Quel ricordo lo rendeva sempre più adirato. Tant'è che le sue mani mi strozzarono così forte che credetti-anzi, che sperai-mi avrebbero uccisa.
Cole non sarebbe arrivato comunque.
La morte era l'unica speranza che mi rimaneva.
Petrovsky mi prese ininterrottamente, usandomi come più gli piaceva in quella opprimente fossa deserta e buia.
Gridai a squarciagola e il mio corpo esplose finalmente in una ribellione furibonda, calciando con forza e colpendo con le braccia il corpo di quel mostro.
Mi afferrò dalle spalle e iniziò a scuotermi avanti e indietro con forza.
"Layla! Layla svegliati!" Riconobbi la voce di Cole in sottofondo, ma ero ancora troppo affogata nel mio incubo per risvegliarmi. Così gridai e piansi più forte, agitandomi irrefrenabilmente per combattere Petrovsky.
"Layla, sono Cole! Svegliati! Svegliati!"
"Mamma! Mamma!" Due voci urlarono forte all'unisono, risuscitandomi dalla fossa dell'oscurità. Sbarrai gli occhi e incontrai il nero per altri secondi: quando il nero svanì quattro iridi mi fissarono. Tenero verde smeraldo e travolgente celeste elettrico scrutinavano il mio viso con preoccupazione.
Il mio respiro era irregolare, le mie mani un terremoto umano e il battito del mio cuore una gara di moto GP.
"Mamma? Stai bene?" Chiese Jamie, la sua voce ancora un ultrasuono nel retro della mia mente. Cole allontanò i capelli appiccicati alle mie guance e mi rivolse uno sguardo desolato.
Desolato perché non ha dormito qui stanotte.
"Layla, era solo un-"
"Non sei arrivato," farfugliai scuotendo la testa e usai l'adrenalina che alimentava la mia agitazione per spingerlo via e alzarmi dal letto.
Cole afferrò delicatamente il mio polso e mi fece voltare verso di lui, pregandomi con gli occhi di non dire ciò che stavo per dire.
Ma io ero ancora ferita e dare la colpa a lui era più facile di fare i conti con me stessa. Per cui mi liberai della sua stretta e sibilai a denti stretti, "non sei arrivato in tempo."
Mi allontanai da lui, facendo del mio meglio per ignorare la tristezza che attraversò il suo viso.
Uscii dalla mia stanza e mi chiusi in bagno, crollando contro la porta e dando sfogo al mio pianto in silenzio. L'adrenalina svanì e con essa si spense anche la fiamma del furore. Mi trovai di nuovo prima di energia, stanca e vuota, incapace di percepire la vivacità nei colori. Ogni respiro che tiravo era un filo spinato nel miei polmoni, ogni lacrima che versavo una dichiarazione della mia esasperazione.
Non ero triste, poiché se lo fossi stata avrei sentito quel dolore agonizzante che mi aveva accompagnata i primi due giorni dopo l'abuso che avevo subito.
Quel dolore era scomparso e ora non sentivo niente.
Non avevo niente. E cominciavo a bramare quel dolore, quella tristezza. Qualsiasi cosa pur di non avere niente.
Sfinita, afferrai la maniglia fredda della porta e mi tirai su in piedi.
"Layla..." Sentii la voce di Cole dall'altro lato della porta. "Non puoi immaginare quanto sono dispiaciuto...ti prego...ti supplico...lascia che ti aiuti. Lasciami entrare."
Ignorai la sua richiesta, indifferente a tutto ciò che blaterava e trascinai le mie gambe verso il lavandino per lavare il mio viso appiccicoso e la mia stanchezza esauriente.
Aprii il rubinetto ma poi feci lo sbaglio di alzare lo sguardo sullo specchio e incontrare il mio riflesso.
Il rumore dell'acqua che scorreva era l'unico a interrompere il silenzio della notte mentre osservavo la ragazza che mi fissava dall'altro lato dello specchio.
Un viso sfigurato e pallido-quasi giallastro-, occhi spenti, guance scavate e capelli scompigliati. La guardai con stupore, inorridita dall'aspetto trascurato e il vuoto nei suoi occhi.
Percepì il mio disgusto e la sua espressione cambiò: aggrottò la fronte e mi guardò con vulnerabilità. Sembrava volesse comunicarmi qualcosa, una confessione: una scusa? Una supplica?
Le lacrime continuavano a scendere sul suo viso e veramente non ne capii il motivo. Piangeva ma non sentiva nulla, a parte una piccola fiamma di rancore che-ecco!-cresceva via via che i suoi occhi vuoti si caricavano di un'ardente furia.
Mi guardò con disprezzo, con odio persino, e quando meno me lo aspettavo alzò il braccio e- craaack!-mi tirò un forte pugno.
"Layla!" Un grido provenne dal corridoio in seguito al rumore assordante causato dallo spaccarsi dello specchio. Piccoli e grandi pezzi di vetro caddero a terra, riflettendo la malinconia e l'angoscia che aleggiava in aria. Il sguardo rimase impresso sulla crepa immensa formatasi al centro dello specchio dalla quale colavano gocce di sangue.
Seguii con gli occhi quel rosso acceso e lo vidi trasformarsi in una tonalità rosea mentre si fondevano con l'acqua prima di essere trasportato giù lungo lo scarico.
Altre schegge giacevano sui bordi del lavandino. Ne presi una e la feci girare fra le dita, studiandone l'aspetto e domandandomi quale fosse il suo posto originario.
Fui distratta dal rumore di due forti colpi alla mia destra, in seguito ai quali Cole sfondò la porta.
I suoi occhi si spostarono prima sullo specchio, poi su di me. Viaggiarono lungo il mio corpo e si fermarono a fissare la mia mano destra. Seguii il suo sguardo e un brivido attraversò le mie vene quando trovai un flusso di sangue scivolare lungo le mie dita per gocciolare sul pavimento bianco.

Cole si avvicinò a me con cautela ma si fermò non appena notò la scheggia che tenevo nella mano sinistra. Deglutì visibilmente e il panico balenò sul suo viso . Allungò la mano verso di me e sussurrò, "Layla, dalla a me. Andrà tutto bene."
Lo guardai in confusione e ci misi qualche secondo a capire quello che doveva aver pensato nel vedere il pezzo di vetro stretto nella mia mano durante il momento di crollo mentale.
"Non stavo...non voglio-" ma lui non mi lasciò terminare la frase. Invece si fiondò su di me e afferrò con forza il mio polso sinistro, facendo così tanta pressione da obbligarmi a spalancare la mano e lasciar cadere la scheggia a terra. Questa fece un rumore di protesta non appena si frantumò in altri pezzettini.
"Dannazione," sibilò mentre il suo viso diventava sempre più rosso dalla rabbia. Lasciò andare la mano sana e prese quella insanguinata per condurla sotto al rubinetto. Ancora sbalordita e spaesata dagli eventi, gli permisi di sciacquare il sangue e di rimuovere i pezzi di vetro incastrati nel dorso della mia mano prima di disinfettarla e bendarla.
Fece tutto in silenzio, io seduta sul bordo della vasca e lui inginocchiato di fronte a me.
Mi diede così il tempo di cui avevo bisogno per tornare in me, per riflettere su ciò che era appena successo e per sentirmi in colpa per aver spaventato sia lui sia Jamie. 
"Cole..." Farfugliai poggiando una mano sulla sua spalla per attirare i suoi occhi su di me. Finse di non sentirmi e continuò a ruotare la benda attorno alla mia mano.
Mi morsi il labbro per non piangere e feci scivolare la mano in alto per accarezzare la sua guancia. La pelle, che di solito era liscia come seta, ora solleticava il palmo della mia mano attraverso i piccoli peli duri che la ricoprivano. Sentii la sua  mascella serrarsi sotto il mio tocco e lo chiamai di nuovo.
Non mi rispose, ma la lacrima che scese sulla sua guancia e che sfiorò il mio pollice tradì il suo silenzio.
Tutto il dolore che era scomparso nei giorni precedenti mi colpì con veemenza, travolgendomi come un uragano impetuoso.
"Mi dispiace...mi dispiace così tanto," parlai facendo scorrere le dita fra capelli sulla sua nuca, esprimendo con le mie carezze le scuse che le mie labbra non riuscivano a pronunciare. Alzò finalmente la testa su di me e fui invasa da un oceano di tristezza e di rassegnazione.
Non riuscii più trattenere il pianto.
"Ti dispiace?" Mi chiese smettendo di curare la mia mano. "Ti dispiace che ho fallito a proteggerti?"
"No. No..." Scossi la testa. "Quello che ho detto prima è orribile. Non lo penso...non lo credo..." Singhiozzai continuando ad accarezzare il suo viso rigido come fosse un tesoro prezioso fra le mie dita avide. "Stavo sognando...e tu non eri lì...non avrei dovuto dirti quelle cose," Dissi faticando a mettere insieme una frase con senso completo.
C'erano troppe cose da dire e poche parole per spiegarle.
Cole scosse il capo e abbassò la testa sulle ginocchia con aria mortificata. "Ma avevi ragione...avrei dovuto essere qui con voi. Sapevo che non eravate al sicuro in questo posto, ma non ho fatto niente...invece...invece ti ho lasciata da sola e-"
"No no no..." Lo interruppi inginocchiandomi a mia volta per guardarlo nel viso e prendere le sue mani fra le mie. "Ti sei preso cura di me e di Jamie quando più avevamo bisogno di te...te ne sarò grata per sempre Cole..." Piansi disperatamente, pentendomi di ogni parola detta durante il momento di rabbia. "Starò bene...questa...questa è solo una fase, so che passerà. E so che tu mi aiuterai a farlo. Non è così?"
In risposta strinse le mie mani e fece un debole cenno con la testa. Poi, inaspettatamente, mi attirò in un altro dei suoi abbracci solidi e rassicuranti.
Si sedette contro il bordo della vasca e divaricò le gambe per attirarmi contro il suo petto.
E lì mi cullò fino a quando il sonno tornò a farmi visita.

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