Capitolo 4

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"Mi dispiace," riuscii a balbettare, inginocchiandomi davanti a lui per tamponare i pantaloni con la tovaglia che tenevo sulla spalla. Lui arretrò appena toccai la sua coscia e guizzò in piedi facendo cadere indietro la sedia. L'attenzione degli altri si spostò su di noi. Arrossii e alzai gli occhi in alto, sentendomi più vulnerabile che mai sotto il suo sguardo adirato.
"Mi dispiace," Farfugliai. "Io...n-non ho...." un mugolo incomprensibile sostituì le mie parole. La trepidazione e il panico fecero salire le lacrime ai miei occhi e le mie mani cominciarono a tremare. Cole continuava a fissarmi dall'alto come se fossi la sua cavia. Pareva quasi godere della sua posizione: poteva decidere di far di me quello che voleva. Poteva fingere che nulla fosse successo o poteva trasformarsi nel gangster lunatico che era e punirmi dinanzi a tutte quelle persone che vedevo ogni giorno.
"Non è successo niente Cole. Calmati, stai spaventando la ragazza," sussurrò Dom in modo che solo noi potessimo sentire. Invece di dargli retta, Cole infilò la mano nella tasca anteriore e tirò fuori la pistola con cui avrebbe messo fine alla mia esistenza.
Avevo speso gli ultimi anni della mia vita a lavorare sodo credendo che un lavoro pulito mi avrebbe in qualche modo protetta dal disagio e dalla sporcizia che mi circondava. Mai avrei pensato che la mia morte sarebbe avvenuta per un piccolo incidente capitato alla persona sbagliata nel momento sbagliato.
È così che finirà la mia vita? Sparata al cervello per aver rovesciato un caffè?
Chiusi gli occhi e formulai una preghiera in silenzio. Non pregai che la mia vita venisse risparmiata; pregai che Dio avesse pietà della mia anima e che Jamie se la cavasse anche senza di me. Ripensai a tutti gli sbagli che avevo commesso, a tutti i "mi dispiace" mai detti; ripensai al mio papà e alla mia mamma e sperai segretamente di avere la gioia di rivederli in cielo. Ripensai a Tommy, che non si sarebbe mai perdonato e mi si spezzò il cuore.
Quando riaprii gli occhi però, non c'era traccia di pistola. Cole teneva un portafoglio dal quale estrasse una banconota da dieci, che appoggiò  sul tavolo prima di voltarsi e uscire dal locale.
Trasandata da ciò che era appena accaduto, mi sentii girare la testa. Mi guardai attorno e all'improvviso tutto era diventato estraneo.
"Layla? Stai bene? Layla!" La voce allarmata di Dominic fu l'ultima che sentii prima di chiudere gli occhi e perdere i sensi.

*
Sbattei le palpebre e ansimai quando le mie pupille vennero in contatto con la luce del sole. Mi sollevai languidamente sui gomiti e assorbii le mura della stanza che mi circondava. Mobili, pareti, colori...era tutto estraneo. Sollevai ulteriormente il busto mettendomi a sedere e nel mentre mi domandai se era realtà o sogno. Nonostante l'assenza di familiarità con l'ambiente in cui mi trovavo, ero stranamente tranquilla. O almeno così fu finché non individuai la sagoma di Coleman Donovan ombreggiare in fondo alla stanza. Il mio istinto mi spronò a indietreggiare fino a toccare il poggiatesta del letto. Strinsi il lenzuolo e me lo portai inconsciamente al mento per coprire il mio corpo già vestito. Ci vollero alcuni secondi prima che mi ricordassi di quel che era successo all'Elisir. "Dove sono?" Chiesi guardandomi intorno di nuovo. Cole si alzò in piedi e si avvicinò al materasso. "Sei nella stanza di mio fratello," rispose. Ricordai lo sguardo selvaggio che era comparso nei suoi occhi quando gli avevo rovesciato il caffè addosso e rabbrividii. Conoscevo i tipi come lui. Sapevo che un gesto del genere mi poteva costare la vita. Non me l'avrebbe fatta passare liscia tanto facilmente. Per questo mi trovai a farfugliare, "che cosa...Che cosa mi hai fatto?" Aggrottò la fronte e un'espressione prima confusa, poi indignata balenò sul suo volto. Mi guardò da capo a piedi con evidente disprezzo, poi avvicinò la sua faccia alla mia e sentenziò, "non credere a tutte le fiabe che senti in giro su di noi. Io non ho mai fatto del male a una donna in vita mia, e di certo non inizierò ora." Mi diede le spalle e si mise a camminare verso la porta. Prima di uscire si fermò e disse, "dopo che sei svenuta Dom ti ha portata qui. Sta parlando al telefono."
"Cole, aspetta." Lo richiamai prima che uscisse. Si fermò di nuovo e si girò verso di me. "Mi dispiace per averti rovesciato addosso il caffè. Non era mia intenzione. E...mi dispiace per quello che ho pensato poco fa. Siete stati molto gentili a portarmi qui, non avrei dovuto-"
"Non fa niente," tagliò corto lui. "Vado a dire a Dom che ti sei risvegliata."

Pochi minuti dopo Dom entrò nella stanza con una tazza di tè in mano. Mi rivolse un sorriso affettuoso e si sedette accanto a me, offrendomi la tazza. La presi fra le mani e lo ringraziai.
"Come ti senti?" Mi chiese.
"Sto bene adesso." Porta la tazza alle labbra e ne bevvi un breve sorso. Era ancora troppo caldo. "Mi dispiace per tutto questo. So che siete impegnati e-"
"Non ti scusare, per favore. Siamo noi che ti dobbiamo delle scuse. Non avremmo dovuto presentarci al tuo lavoro senza preavviso; l'idea era quella di farti sentire a tuo agio attorno a noi, ma il tentativo è chiaramente fallito..."
Stentai a credere alle sue parole. Due gangster come loro dovevano essere sempre impegnati; eppure avevano preso il tempo di presentarsi al mio locale per "farmi sentire a mio agio". La legge della cortesia dettava che avrei dovuto ringraziarlo per essersene curato; ma la mia vera opinione si ribellava per uscire dalla mia bocca. Volevo che le cose tornassero come prima, quando i Donovan erano soltanto una lontana leggenda metropolitana di cui si sentiva parlare talvolta. Non volevo conoscerli meglio; non ero interessata a fare amicizia con loro, né a sentirmi a mio agio attorno a loro. Volevo che svanissero dalle nostre vite, poiché tutto ciò che era legato a quel cognome avrebbe portato solo cattive notizie.
Li conoscevo da un giorno e mi avevano già causato più stress e ansia di quanto ne avessi mai provato. Esasperata e troppo stanca per sotterrare le mie emozioni, decisi di dire le cose come stavano. Richiamai l'attenzione di Dominic pronunciando il suo nome. Lui scosse la testa e alzò il viso per guardarmi. "Sì?"
"Se vuoi essere veramente d'aiuto, tieni tuo fratello lontano da me..."
"Layla, non capisci...Cole è innocuo. Non ti farebbe mai del male," cercò di rassicurarmi.
"Questo non posso saperlo. So che per voi è solo un gioco, ma quello che è successo stamattina non può ripetersi. Non posso perdere il mio lavoro, ho un figlio da mantenere, capisci?"
"Tecnicamente Cole non ha fatto niente..." lo fulminai con lo sguardo e guizzai fuori dal letto. "Mi prendi in giro vero? Ti rendi conto di quanta ansia mi causa averlo vicino?" Dominic sospirò e si grattò la testa. "Lo so lo so," disse. "Ma è fatto così. Mi rendo conto che mio fratello è...intenso, ma non lasciarti ingannare da questo. Non ti farebbe mai del male, fidati di me."
Mi sembrava di parlare con un muro. Dominic avrebbe difeso suo fratello indipendente da quello che provavo io. Alla fine avrebbero fatto quello che si sentivano in vena di fare. Se la mia opinione avesse avuto importanza, non ci saremmo trovati in quel guaio in primo luogo. "Lascia perdere. Devo andare." Raccolsi il mio telefono dal comodino e lo infilai nella tasca della felpa. Dominic si alzò in piedi e sfiorò il mio avambraccio con la mano, "ti do un passaggio a casa."
"Prenderò un taxi, non ti preoccupare."
"Insisto. Ti accompagno solo io così sei più tranquilla."
"Bene. Andiamocene subito però."
Dom annuì e mi scortò fuori di lì.

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