Un sorrisetto derisorio incurvò le sue labbra quando annunciò il proprio nome. In attesa che la terra si aprisse e mi risucchiasse, il battito del mio cuore accelerò e l'ossigeno venne a meno. Alzai lo sguardo su Tom, confusa, incredula e impaurita.
Dominic imprecò contro il fratello che aveva appena svelato la loro identità. Mio fratello aprì bocca per parlare, ma nulla uscì fuori. Mi fissò per un momento con occhi mortificati, il che bastò a farmi capire che non avrei avuto alcuna spiegazione. Indignata, mi sottrassi a lui e mi rifugiai in cucina senza curarmi dei nostri ospiti.
Mi ressi al bancone per non crollare sulle ginocchia instabili e digrignai i denti per non piangere. I due criminali più pericolosi dello stato erano a casa mia. Sotto lo stesso tetto di mio figlio.
Presto, Tom diruppe nella cucina e si avvicinò a me. "Layla, non è come credi. Non devi avere-"
"I Donovan..." Sibilai stringendo i pugni lungo i fianchi. "I Donovan qui? Con Jamie che dorme nell'altra stanza? Oh mio Dio!"
"Layla, davvero non è come pensi. Non sono qui per-"
"Non mi importa!" Sbottai. "Una cosa ti ho chiesto, una: non portare criminali in questa casa. E tu cosa fai? Bello come il sole mi porti niente meno che quei due sadici! Perché non ci ammazzi direttamente?"
"Layla, abbassa la voce..." M'implorò sbirciando alle proprie spalle. Ma ormai avevo oltrepassato la prospettiva della calma. Niente di quel che avrebbe detto mi avrebbe rappacificata ora. "In che guai ti stai cacciando Tom?" Mugolai esaminando il suo viso. La cosa peggiore era l'assenza di preoccupazione da parte sua. Sembrava quasi che il pericolo in cui ci aveva messi fosse soltanto opera della mia paranoia. S'inginocchiò davanti a me e prese le mie mani fra le sue. "Ti devi fidare di me. Farei mai qualcosa che torcerebbe un capello a te o a mio nipote?"
"Sono i Donovan Tom..." gli ricordai e una lacrima scese lungo la mia guancia. Mi sentivo soffocare nel mio stesso respiro mentre la rabbia si trasformava in dolore. La persona accanto alla quale mi ero sempre sentita al sicuro mi stava esponendo a un pericolo che non ero pronta ad affrontare. Come avrei potuto sotterrare la testa sotto la sabbia e accettare la sua decisione fingendo che tutto fosse sotto controllo?
"Layla, ti prego non piangere. Abbi fiducia in me, non permetterei a nessuno di farvi del male. Siete tutto quel che ho..." provò a persuadermi mentre asciugava le mie lacrime. Lo guardai negli occhi in cerca di insicurezza o indecisione, un segno qualunque della sua menzogna. Ma non ne trovai alcuno.
"E...chi proteggerà te?" singhiozzai in pena guardandolo con disperazione. Mi rivolse un sorriso rassicurante e accarezzò la mia mano dolcemente. "Non ce ne sarà bisogno. Te lo garantisco...." E quanto avrei voluto credergli. Al tempo ci credeva anche lui, penso. Aveva dato per scontato troppi fattori. Si era lasciato illudere che fosse tutto sotto il suo controllo. L'errore fu trascurare il quadro generale.
Senza dire nulla, asciugai le mie guance e mi alzai in piedi. Quando uscii dalla cucina, i Donovan erano ancora nel mio salotto. Non sembravano offesi o arrabbiati per la scena sclerotica che avevo appena manifestato. Guardavano verso il basso e le loro espressione sembravano piuttosto incuriosite. Seguii la direzione del loro sguardo e mi intirizzii nel trovare Jamie all'inizio del corridoio che portava alla nostra stanza. Avvolto in una tuta di Spiderman, mio figlio sembrava una formica minuscola in confronto ai due uomini. Si sfregava un occhio con il dorso della mano per scacciare il sonno, con l'altro braccio teneva stretto Jem, il suo orsacchiotto marrone. Fece un passo timido verso i due e intanto disse, "ciao. Chi siete? Io sono-"
"Jamie!" Lo interruppi iniziando a marciare verso di lui. Lo presi su e serrai le braccia avidamente attorno a lui.
"Mamy, chi sono questi uomini?" domandò puntando il dito verso i due. Non gli risposi. Invece accarezzai i suoi capelli e chiesi, "perché sei sveglio? Hai avuto un incubo?" Cercai di mantenere la calma e non lasciar intravedere il terrore che provavo nel stare vicino ai due fratelli.
"Ho sentito che urlavi...Stai bene mamy?"
"Sì, mamy sta bene. Adesso andiamo a dormire."
"Ma chi sono loro?" Tornò a chiedere, facendomi capire che non l'avrei passata liscia così facilmente. Rick , il quale era rimasto in silenzio fino ad allora, si alzò in piedi e si offrì ti prendere Jamie in braccio. Il piccolo si aggrappò a lui, lo sguardo ancora incollato sui due uomini la cui identità era ancora un mistero per lui. "Questo è Cole, lui è Dom. Sono i nostri nuovi amici," spiegò Rick. Dom lo salutò con un sorriso amichevole. L'altro non mosse un muscolo. Continuava a fissare mio figlio con la stessa aria ispettiva con cui studiava me. Era come se al posto delle persone vedesse dei pezzi di puzzle da mettere insieme. E non faceva il minimo sforzo per nascondere ciò.
"Rick, perché non porti il piccolo a letto?" Suggerì Dom. Sebbene la sua voce e la sua espressione erano prive di minaccia, non potei fare a meno di insospettire del suo intervento.
"Lo porto io," intervenni mettendo le mani attorno al corpo di mio figlio, usandomi spudoratamente di lui per sfuggire alla situazione opprimente. Dom mise la mano sulla mia spalla costringendomi a fare un passo indietro.
"Mi concedi cinque minuti per scambiare due chiacchiere fuori?" Abbassai gli occhi sulla sua mano e, in risposta, lui la levò immediatamente dalla mia spalla. Un nodo mi serrò la gola all'idea di trovarmi da sola con lui. Disperata, lanciai un'occhiata supplichevole prima a Rick, poi a mio fratello. Tuttavia entrambi, piuttosto che tirarmene fuori, mi incitavano ad accettare l'invito con espressioni sollecitatorie. Mi pareva di sognare. "Solo cinque minuti,"insistette l'altro.
"Okay," mi arresi a malavoglia. Rick portò Jamie a letto, ma prima mimò, "sta tranquilla." Nel frattempo Dom andò ad aprire la porta.
Quando uscimmo e la porta si chiuse alle nostre spalle, rabbrividii. Mi sentivo come un agnellino fra le mura di una macelleria. La mia fine poteva arrivare da un momento all'altro.
La strada dinanzi a noi era deserta e illuminata da una serie di lampioni, uno dei quali continuava a lampeggiare, ora spento ora acceso. Il vento soffiò forte nella nostra direzione, intensificando i brividi che si erano formati lungo le mie braccia. Infilai le mani nella tasca della felpa e me la strinsi addosso. Per un istante mi dimenticai del gangster che mi era di fianco. Ci pensò lui a rinfrescarmi la memoria quando chiese, "ti va di fare una passeggiata?" Prima di rispondere, scrutinai di sfuggita il quartiere in cerca di terzi. Eccetto qualche gatto, non c'era nessuno. Avrebbe potuto strozzarmi e nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. Tuttavia riflettei fra me e me. Mi resi conto che Dominic Donovan non aveva bisogno di portarmi fuori per ammazzarmi. Se mi avesse voluta morta non sarei lì in quel momento. Per cui acconsentii passivamente per la seconda volta e cominciai a camminare al suo fianco. Seguitò un silenzio assordante, violato dal stridente frinire dei grilli e dai quieti soffi di vento. Ma la sua presenza ingombrante era il rumore più acuto. Alto e tarchiato com'era, occupava tre quarti del marciapiede. Per evitare contatto fisico, io mi limitavo a camminare sui bordi. Ogni tanto l'occhio mi sfuggiva in alto e catturavo frammenti del suo aspetto. Le sue braccia erano quasi totalmente tatuate. La sua pelle pareva un sommario della sua vita; ero sicura che se mi fossi impegnata abbastanza avrei potuto raccontarla seguendo soltanto quei tatuaggi. Sbirciai anche il suo profilo. Pensai che era uno di quegli uomini che, incontrati per strada, si guardano due volte. Era un uomo di bella presenza e questo lo rendeva ancora più pericoloso in un certo senso.
"Quanti anni hai?" Mi chiese.
"Ventidue," risposi.
"Oh...sei più giovane di quanto pensassi..." Si schiarì la voce e aggiunse, "io ho ventisei anni."
"Oh..." mormorai per fingere interesse, sebbene il mio tono smascherasse la mia indifferenza.
"Che lavoro fai?"
"Faccio la barista."
"Dove?" Pensai di mentire o di cambiare argomento per evitare di dare un'informazione così dettagliata sul mio conto. Ma, di nuovo, mi resi conto che probabilmente sapeva già tutto su di me e sulla mia famiglia e che quella conversazione superficiale serviva soltanto a mettermi a mio agio. Quindi risposi, "all'Elisir."
"Ho fatto anche io il barista una volta...avevo quindi anni."
"Oh...Ti piaceva?" domandai per evitare il silenzio imbarazzante.
"Per niente. Mi sono licenziato neanche una settimana dopo." Riuscì a strapparmi un sorriso. "Come mai?" Chiesi, ma ora per curiosità.
"Era il primo lavoro che facevo ed ero un disastro. Il mio capo era un vero bastardo; brontolava e urlava in continuazione. Poi i clienti erano impazienti e talvolta anche maleducati...non ho potuto resistere."
"Perché sei andato a lavorare? Voglio dire...uhm...non eri già...ricco?"
"Volevo provare a guadagnarmi i soldi da solo per una volta...."
"Oh..." mi limitai a sussurrare, non sapendo che altro dire. "Anche tuo fratello ha fatto lo stesso?"
"No. Lui si è impegnato in modo diverso."
"Cioè?"
"Lui si è impegnato negli studi. Beh...in realtà non so quanto si sia impegnato; ha un quoziente intellettivo più alto della media. Certe cose gli vengono naturali.... Comunque...in circostanze molto difficili é riuscito a laurearsi in fisica all'università di Chicago con il massimo dei voti...." Avrei ricordato quel momento per sempre. Era la prima volta che vedevo il lato più umano di Dominic, il suo tallone d'Achille. Era stata la scintilla di orgoglio che brillava nei suoi occhi mentre parlava del successo di Cole a farmi capire che aveva grande rispetto e amore verso suo fratello. Questo lato di lui mi piacque e mi fece sentire più a mio agio.
"E tu? Hai mai pensato di andare al college?" Domandò lui, facendomi scoppiare a ridere. "Io al college!" Esclamai, imbizzarrita dal fatto che potesse anche solo pensare una cosa del genere. "No," risposi in fine. "Non ho né i soldi né il tempo per farlo. Il massimo che ho fatto nella vita è stato diplomarmi mentre ero incinta di sei mesi."
"Oh...giusto...il bambino..."
"Eh già..."
"Rick è il padre?" Scossi la testa. "Rick è il nostro coinquilino," spiegai.
"Uhm...quindi chi è il papà?" Insistette. Forzai un sorriso, alzai il viso su di lui e risposi, "la domanda giusta è: dov'è il papà?"
Riconobbi la compassione nel suo sguardo mentre mi mormorava che gli dispiaceva. Gli dissi che non era niente di scandaloso e che, anzi, c'era da aspettarselo. Non capí quello che intendevo, quindi affermai, "al giorno d'oggi fanno un po' tutti così, no? Ti amano finché gli fa comodo, poi al primo ostacolo se ne vanno a gambe levate." Aggrottò la fronte e mi guardò con confusione, " ma è un bambino, non dovrebbe essere un ostacolo..."
"E' più facile a dirsi che a farsi."
"Non è una cosa scontata, sai? Se mettessi incinta una ragazza non penserei mai di abbandonare lei e mio figlio."
"Allora sono stata sfortunata a non averti incontrato prima di lui," la frase deliberata uscì troppo in fretta per essere contenuta. Dominic scoppiò a ridere scoprendo la sua dentatura perfetta e, piuttosto che rimuginare sul fatto che avessi appena flirtato con lui, risi anche io.
"Non è tardi sai?" Mi stuzzicò. Solo allora mi accorsi di aver oltrepassato un chilometro dalla partenza. "Avanti, torniamo indietro," istruii. Facemmo entrambi retromarcia e ripercorremmo lo stesso percorso per tornare a casa mia.
Avevo deciso che Dom, preso fuori dal contesto generale, non mi dispiaceva come persona. Partendo da una conversazione banale era arrivato ad incuriosirmi e a indurmi a fare domande volontarie per conoscerlo meglio. Per un istante era riuscito persino a farmi dimenticare la ragione per cui non volevo avere niente a che fare con lui in primo luogo. Purtroppo però la simpatia non era un fattore in base al quale andavano valutati i gangster. Il suo fascino non mi sarebbe servito a nulla se da un momento all'altro mio fratello fosse diventato un problema. Finché ero cosciente di questo, non mi sarei mai fidata di lui.
All'improvviso Dominic arrestò il passo e si voltò per guardarmi faccia a faccia. "Layla," sussurrò. "Ho anche io un fratello che amo più di me stesso. So bene di cosa hai paura...." Si avvicinò a me. "Non ti chiederò di fidarti ciecamente di me. Non avrebbe senso chiedertelo sapendo l'opinioni che tu e tutta Chicago avete sul mio cognome. Ma ti chiedo di fidarti di tuo fratello, questo puoi farlo?"
"Tom non sa quello che sta facendo," sbottai con tono acido. "Qualsiasi cosa state tramando...dovete lasciarlo fuori."
"Tuo fratello è molto più in gamba di quello che credi." Volevo dirgli che di mio fratello non ne sapeva mezza. Aveva paragonato la mia paura di perdere Tommy con la sua paura di perdere il proprio fratello; ma si sbagliava. Lui aveva il potere sufficiente di proteggere se stesso e chiunque altro. Io non avevo nulla. Ero solo una ragazza che, rimasta senza futuro, si spaccava per provvederne uno al proprio figlio. Tommy non era solo un fratello per me. Lui era tutta la famiglia che avevo. E se qualcuno avesse deciso di portarmelo via, io non avrei potuto muovere un dito per salvarlo.
Le lacrime mi bruciavano gli occhi a quel punto. Stringevo i pugni così forte che sentivo le unghie penetrare il palmo della mia mano. "Perché lui? Perché tra tutti avete deciso di prendere lui?"
"Thomas non è un bambino. Se l'è cavata alla grande finora, non devi preoccuparti."
Un nodo mi serrava la gola. Se avessi aperto bocca mi sarei messa a piangere. Tentai di controllarmi, ma la mia voce uscì sotto forma di un mugolo discontinuo. "Ti...ti imploro, lasciatelo stare. È...è tutto quel che mi rimane al mondo. Capisci?" Dominic sospirò e si fece scorrere le dita fra i capelli dalla frustrazione. Sembrava sul punto di dirmi qualcosa di importante; aveva l'espressione di uno che vuole svelare un segreto che ha promesso di mantenere. Attesi con ansia di sentire cosa avrebbe detto per mettermi l'anima in pace. Ma niente. I suoi lineamenti si indurirono e la docilità scomparse dalla sua voce. "Tom ha preso una decisione, non spetta ne a te ne a me cambiarla. Mi dispiace."
Una lacrima colò lungo la mia guancia. Il pensiero che mio fratello aveva acconsentito mi dilaniava. Come ha potuto? Continuavo a chiedermi.
A quel punto capii che negoziare non era un'alternativa. Il danno era fatto. Un contratto era stipulato e non si poteva più rievocare. Mio fratello era ufficialmente entrato a far parte della gang più pericolosa dello stato. E solo Dio sapeva come sarebbe andata a finire.
Asciugai le mie lacrime e mandai giù il nodo in nodo in gola che sapeva di amara sconfitta. Fissai Dominic Donovan negli occhi e gli puntai il dito contro. "Sarò solo una donna debole e insignificante per te, ma stanne certo: combatterò con unghie e denti chiunque provi a torcere un capello alla mia famiglia." Lo superai e camminai a passo svelto per tornare a casa mia.
Non guardai nessuno quando entrai. Ignorai i richiami di mio fratello e mi chiusi a chiave in camera mia. Coprii Jamie con il piumone, poi crollai sul mio letto e piansi finché non ebbi più lacrime da versare.
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Bulletproof Hearts
Teen FictionLayla, una giovane mamma single, lotta per garantire un futuro migliore al proprio figlio in una delle zone più pericolose di Chicago:la West Side. Sembra tutto procedere con normalità, fino a quando Tom-suo fratello- accetta di stipulare affa...