Capitolo 3

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L'indomani mi svegliai alle sette, mi feci una veloce doccia fresca e mi vestii prima di andare in cucina a preparare la colazione. Fui sorpresa però di trovare Tom cucinare pancakes e fischiettare allegramente. 
Quando si accorse della mia presenza mi diede il buongiorno con un sorriso caloroso, come se niente fosse successo la notte prima. Indignata, lo ignorai e iniziai a sfogliare il giornale.
Mi versai del caffè e iniziai a sorseggiarlo, fingendomi interessata alla notizia sotto ai miei occhi. Le parole stampate sulla carta sottile si confondevano sotto la mia vista; erano appena un mosaico che fungeva da sfondo ai miei timori.
"E dai, per quanto ancora pensi di tenermi il muso?" Si lamentò lui appoggiando un piatto di frittelle davanti a me. Non gli risposi e non toccai il cibo. Il mio stomaco brontolò in protesta, ma il mio orgoglio ebbe la meglio. Lanciai un'occhiata all'orologio e decisi che era tempo di svegliare Jamie per portarlo all'asilo. Finii il mio caffè e tornai in camera mia. Mi sedetti sul letto di Jamie e accarezzai dolcemente i suoi capelli. "Jamie, è ora di alzarsi tesoro." Il biondino piagnucolò e si voltò dall'altra parte per continuare a dormire.
"Avanti Jamie, alzati," lo incoraggiai sfregando la sua schiena.
"Ancora cinque minuti mamy, ti prego!"
"Farai tardi. Forza, andiamo a lavarci il viso." Quando capì che le lamentele non sarebbero servite, si alzò a malincuore e andò in bagno a lavarsi viso e denti.

"Buongiorno zio Tommy," salutò quando entrò in cucina. Mio fratello gli sorrise dolcemente e, scompigliandogli i capelli, rispose, "buongiorno campione." Riempii la ciotola di Jamie con cereali e latte e mi sedetti accanto a lui in attesa che finisse la sua colazione.

"Zio, ma perché ti sei svegliato così presto oggi?" chiese mio figlio tra un boccone e l'altro. Io e lui eravamo sempre i primi ad alzarci di mattina. Nessuno dei due era abituato ad avere terzi nella stanza.
"Ho del lavoro da fare," spiegò Tom. Consapevole del suo "lavoro", lo fulminai con lo sguardo. Un'espressione desolata comparse sul suo viso, ma non mi lasciai impietosire. Aveva torto e io avevo tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiata con lui. 
Una volta che Jamie ebbe terminato di mangiare, lo presi in braccio, presi la mia borsa e uscii di casa senza degnare mio fratello di uno sguardo.

*

Arrivai al bar alle otto, trovando Patrick seduto al solito tavolo a sfogliare le pagine del quotidiano. Gli diedi il buongiorno e lui ricambiò con un saluto un po' meno entusiasta senza levare lo sguardo dal giornale. Entrai nell'area riservata al personale e vi depositai borsa e felpa. Allacciai il grembiule attorno alla vita, raccolsi i capelli in una lunga coda di cavallo, poi tornai dietro al bancone per avviare la macchina del caffè.

Una decina di minuti più tardi il bar iniziò ad affollarsi. Scambiai due chiacchiere con i clienti che erano in vena di conversare e mi limitai a versare il caffè con un sorriso a quelli taciturni. La routine procedette con regolarità, fino a quando non notai il tavolo in fondo occupato dalle due figure robuste che avevo avuto il dispiacere di conoscere il giorno prima. Sentii le gambe tremare per un secondo e dovetti reggermi al bancone per non crollare. Il cuore prese a battere più velocemente e, proprio quando pensai di nascondermi nel camerino sul retro, fui paralizzata dagli occhi penetranti di Coleman Donovan.  Che diavolo ci fanno qui?

Non mantenne il contatto visivo a lungo, per mia fortuna. Girò la testa verso il fratello e gli fece segno di guardare nella mia direzione. L'altro obbedì e spostò lo sguardo verso di me.  Abbozzò un sorriso accattivante e mi salutò con la mano. Per non essere scortese, ricambiai il gesto con un sorriso forzato. Non avendo altri clienti intorno al bancone, iniziai a girare fra i tavoli per raccogliere le tazze vuote da mettere nel lavandino. Poi andai al tavolo nove a prendere l'ordine dei nostri nuovi clienti. O almeno così doveva sembrare.
"Cosa vorrebbe dire questo?" Chiesi stando a un metro di distanza da loro. Dominic inarcò un sopracciglio e un'espressione innocente comparse sul suo viso. "Pardon?"
"Perché siete qui? E cosa volete?" Mi resi conto troppo tardi del tono acido e scontroso con cui mi stavo rivolgendo a loro. A volte dimenticavo quanto imprevedibili e lunatici potevano essere i gangster.
"Vorremmo due caffè; una brioche al miele e una al cioccolato, per favore..." Lo sguardo divertito che balenava nei suoi occhi tradiva la maschera innocua con cui mi voleva persuadere. Avevo capito che stava cercando di acquietare le mie preoccupazioni, ma presentarsi inaspettatamente al bar in cui lavoravo non era di grande aiuto. Anzi, se mai nuoceva alla mia salute psichica.
"Andate a prenderlo da un'altra parte come avete fatto fino a questo punto."
"Non ci puoi cacciare. Rifiutare di servire un cliente senza motivo valido si chiama discriminazione ed è proibito dalla legge. Ti potremmo persino denunciare." Sentenziò Cole fissandomi con la medesima scrupolosità del giorno precedente. Aggrottai la fronte e senza rendermene conto mi chinai in avanti e appoggiai le mani sul tavolo, avvicinando il mio viso al suo. Non si lasciò intimidire; invece di indietreggiare sostenne il mio sguardo e mi fissò come se volesse darmi fuoco con gli occhi. "Vuoi veramente metterti a discutere con me di cosa è illegale, Donovan?" Pronunciai il suo nome come si pronuncerebbe un'offesa. Digrignò i denti e si avvicinò ulteriormente. Dovetti resistere la tentazione di allontanarmi da lui per non dargliela vinta. Da questa distanza potevo sentire il suo profumo e i suoi respiri. Eravamo così vicini che potevo vedere le diverse sfumature che si scontravano nelle sue iridi selvagge e glaciali; potevo sentire persino il calore della sua bocca invadere la mia.
"Ti piace giocare con il fuoco Layla Bell. Non è così?" Sussurrò la minaccia così piano che nessun altro doveva averla sentita oltre me. Se la sua vicinanza non era servita a intimidirmi, quella domanda vi riuscii. Stavo oltrepassando un limite. Dovevo tenere a mente che io e lui non eravamo equali: lui era un criminale spietato in possesso di tutti i mezzi per distruggere la mia famiglia; io ero un ronzio appena percepibile per lui. Tornai in me e mi rimisi composta. "Layla," intervenne Dominic. "Ti prego di perdonare mio fratello. A volte diventa nervoso in presenza di belle ragazze e tende a dire cose-"
"I vostri caffè arrivano tra un minuto." Sentendomi umiliata, tagliai corto e tornai al bancone per preparare il loro ordine . Mentre la macchina erogava il caffè estrassi le due croissant dalla vetrina, poi posai il tutto su un vassoio. Volevo solo che i due arroganti sparissero dal mio locale. In realtà, avrei voluto che sparissero dalla faccia della terra.
Tornai nuovamente al tavolo numero nove e vi appoggiai sopra il vassoio senza guardare nessuno.
"Brioche al cioccolato?" Domandai con voce monotona.
"Sua," rispose Dom. Appoggiai dunque un piattino davanti all'uno e un piattino davanti all'altro. Posai una tazza di caffè davanti a Dom, che mi ringraziò cordialmente. Tuttavia, nel momento in cui sollevai la seconda tazza, "Layla!" Patrick mi richiamò all'improvviso, facendomi sobbalzare. Abbassai lo sguardo sulla tazza e, con orrore, scoprii che il caffè si era tutto rovesciato sul tavolo. E sui pantaloni di Coleman Donovan.

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