Capitolo 53

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Quando avevo confessato a Jessie che portavo in grembo il suo bambino, la sua reazione mi aveva annientata. Da lui mi aspettavo comprensione e supporto; quel che ricevetti furono urla, accuse rabbiose e proferimenti di parole crude e becere.
Non mi sarei stupita se Cole avesse replicato con altrettanta aggressione e negatività. Anzi, a dire il vero, lui era giustificato a non accogliere la notizia a braccia aperte. Non stavamo nemmeno insieme e nessuno sapeva di noi. Sarebbe stato uno scandalo da svelare al mondo.
Mi ero messa l'anima in pace e avevo accettato il suo eventuale rifiuto. 'Senti Cole, capisco che non sei pronto adesso. Quindi se decidi che non vuoi farne parte non ti giudicherò. Ho già cresciuto un figlio, posso farlo di nuovo. Nessuno lo verrà a sapere se non vuoi, puoi andare avanti con la tua vita e io andrò avanti con la mia.' Così immaginavo di acquietarlo. Nella mia immaginazione lui aveva la decenza di dire che apprezzava il mio sforzo e che magari in un lontano futuro avrebbe cambiato idea e avrebbe deciso di provare ad essere padre. Avremmo poi stretto la mano e ognuno sarebbe andato per la sua strada.

Questo era lo scenario più ottimista a cui avevo pensato, perché ero così certa dell'imminente ripudio di Cole che non mi facevo vacue illusioni al riguardo. Lui avrebbe detto No, e io avrei rispettato la sua decisione. Fine.
Dovetti ricredermi quando Cole mi disse che avrei avuto il suo totale supposto e, soprattuto, quando iniziò ad elencarmi i vari passi che avremmo seguito per crescere insieme il bambino. Mi aveva messo a soqquadro.

Mi lasciai dileguare utopisticamente nella sua fantasia, visualizzando mentalmente le scene che le sue labbra pronunciavano integrandoli con i sogni che nelle ultime settimane avevo evitato come la peste : andare alle visite mediche insieme, comprare indumenti simpatici di taglie adorabili, programmare le nozze, arredare la nostra casa fuori Chicago, scegliere il nome insieme...

Te ne devi andare

Adriana è la ragazza che amo. Sei stata tu la mia puttana, non ricordi?

Ti ho già detto una volta di non giocare con il fuoco. Non ti sei bruciata abbastanza?

Le parole si ripetevano nella mia mente come una cassetta malandata e laceravano le parti più profonde del mio essere. Mi imploravano di non cascare nella sua rete di nuovo, perché lui era un bugiardo spietato e i bugiardi non cambiano mai. Quelle parole erano la testimonianza contro la sua inaffidabilità e la sua cattiveria, erano la prova che il suo cuore era implacabile e talvolta incapace di provare empatia di fronte alle persone che dilaniava.
Fu allora che decisi di non crederle alle sue promesse, false o sincere che fossero, soltanto per il gusto di raschiare dal suo viso quell'ombra di entusiasmo e di sicurezza.
"....e cosa ti rende tanto sicuro che sia tuo?" Interruppi il suo discorso. Aggrottò la fronte e sgranò gli occhi dallo stupore. Deglutì scuotendo esilmente la testa. "Non lo faresti," mugolò poco convinto. Il terrore si manifestò sul suo viso mentre attendeva la mia risposta e io permisi a me stessa di godere la sua angoscia. Non capivo cosa lo spingesse a proclamarmi sua quando era stato proprio lui a cacciarmi dalla sua vita. Letteralmente. Forse per lui ero un giocattolo che non voleva condividere con nessuno, non perché avevo un valore affettivo per lui ma perché l'egoismo faceva parte della sua natura complessa. In fondo mi aveva sempre usata a comando: Layla vieni, Layla vai, Layla ti voglio, Layla adesso te ne devi andare, Layla mi manchi, Layla sei solo un corpo su cui sfogare i miei desideri.

Mi aveva infangata. E ora fingeva di essere dispiaciuto.
Bugiardo.

"Perché sembri tanto sorpreso?" domandai simulando un sorriso ingenuo mentre assumevo una composizione rilassata all'apparenza. I miei pensieri negativi mi esortava ad essere tenace, ad affondare il dito nella ferita aperta. Volevo acuire il suo dolore anche se le sue ragioni erano un mistero per il mio comprendonio.
"Stai mentendo," sussurrò strascicando le parole sempre meno sicuro di quel che diceva.
"Sono andata avanti con la mia vita. Ho preso esempio dal migliore," lo provocai con un occhiolino ironico e per un attimo mi sentii abietta per la spregevole recita. Ma seguii il mio selvaggio bisogno di vendicarmi. "Dai puoi stare sereno adesso. Non sono più un problema tuo."
"Stai mentendo. Non lo faresti. Io...io ti conosco. Non lo faresti," insistette scuotendo la testa. Si avvicinò a me serrando i pugni e le mascelle. Indietreggiai e m'intirizzii quando le sue mani mi afferrarono con ferocia e mi tirarono contro il suo corpo. "Non lo faresti," mi guardò intensamente negli occhi. "Ti ho ferito, lo so. Mi dispiace. Mi dispiace così tanto piccola...io ho una spiegazione a tutto, a ogni cosa. Dom ti può dare la conferma. E anche Rick e Tom potranno confermare quello che ti dirò. Ma non farmi questo. Non mi punire così..." 
Rimasi in apnea, ipnotizzata dalle sue iridi improntate da umiltà e supplizio. Mugolai in balia fra scetticismo e buonsenso. Emisi un rantolo quando Cole si inginocchiò di fronte a me e strinse le mie mani con le sue poggiando la fronte contro il mio ventre. "T'imploro... Non puoi...non puoi...ho bisogno di te..." Mi si sbrecciò il cuore e dovetti stringere con forza i denti per non emettere un singulto. Tuttavia, nemmeno la mia empatia fu abbastanza da emendare le mie intenzioni. Non avevo più energia sufficiente per tentare di nuovo la sorte. Se avessi ceduto sarei sicuramente finita da sola e con il cuore infranto. Non era un rischio che mi potevo permettere. Non più.
"Cole,  ti prego..." Mi chinai al suo livello e mi concedetti di prendere il suo viso fra le mani. I suoi occhi incisivi erano disorientati e disperati. Per un momento mi parve di vedere negli occhi di un bambino che non trova più i genitori in un centro affollato. Mi pregavano di prendergli la mano e condurlo verso la via giusta, di dirgli che sarebbe andato tutto bene. Mi morsi il labbro con veemenza per non articolare le medesime parole. Dovevo essere forte. Dovevo difendere me stessa.
"Mi dispiace Cole..." farfugliai. "Devi lasciarmi andare. Noi...noi non siamo compatibili. Ci facciamo male a vicenda continuamente. Non era sano quello che avevamo. E adesso...devo anche pensare al piccolo..."
"Allora è vero...non è mio?"
Abbassai lo sguardo sulle nostre mani ancora intrecciate. Rabbrividii. Le sue mani coprivano totalmente le mie. Le tenevano gelosamente, come non volessero mai lasciarle andare.

Perché dev'essere così difficile? Perché non torna ad essere la persona che mi ha spezzato il cuore quel sabato mattina?

"Mi dispiace," ripetei. Baciai la sua fronte e mi alzai in piedi.
"Ti prego Layla..."
Sciolsi delicatamente la stretta delle nostre mani e retrocedetti di mezzo passo. Chiusi gli occhi e accumulai un respiro profondo. Quando riaprii gli occhi Cole era ancora davanti a me, con lo sguardo incantato nell'asfalto e le lacrime che rigavano sul suo viso.

Deglutii il magone che mi cinghiava la gola. Iniziai a camminare lontano da lui.

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