Capitolo 5

1.4K 49 0
                                    

La routine ripetitiva e monotona seguitò senza altre interruzioni o eventi particolari. I Donovan comparivano ogni tanto a casa nostra, ma non andavo mai oltre un saluto cordiale quando il mio sguardo incrociava il loro. Cominciai a credere che alla fine mi sarei abituata alla loro presenza, poiché l'effetto che mi facevano all'inizio andò esaurendosi con i giorni, quand'ecco che una sera, mentre tornavo a casa dal lavoro, sentii delle urla provenire dalla casa dei Belovs.
Le luci erano ancora accese nella casa e le grida di Dylan e Katie erano integrate al pianto sfrenato delle bambine. Allarmata, raggiunsi la loro porta e usai la chiave di riserva che mi avevano affidato qualche anno prima per casi di emergenza.
Senza notare la mia presenza, Dylan e Katie continuarono a insultarsi a vicenda, svuotando i loro petti da qualunque offesa tagliente sfiorasse i loro pensieri. Katie piangeva e il mascara si era sciolto creando una bozza nera sotto a e agli angoli dei suoi occhi. Dylan pareva ubriaco dal modo lento con cui parlava e dai movimento incerti delle sue gambe, che facevano avanti e indietro in cerca di stabilire un equilibrio.
"Ragazzi! Smettetela, le bambine vi stanno ascoltando!" Interruppi il fracasso impostandomi fra i due. I due smisero di battibeccare e, francamente, mi sorprendenti dell'autorità che avevo esercitato su di loro. Katie, bisognosa di conforto e di sostegno, si fiondò su di me e mi abbracciò piangendo con un'intensità di grado maggiore. Strofinai la sua schiena delicatamente e le permisi di sfogarsi finché non la sentii più calma. Dopodiché l'accompagnai in camera sua, lasciando Dylan in soggiorno.
Mi raccontò tutto. Si trattava dei soldi che Dylan doveva ai Donovan. I tempi si stavano stringendo e lui non aveva un centesimo da ridare ai due gangster; tutta la famiglia era in pericolo a quel punto.
"Trentamila dollari Layla....come farà a trovare tutti quei soldi in così poco tempo? E chi sa cosa ci ha fatto!" Singhiozzò lei , gli occhi verdi gonfi e il viso arrossito dal pianto.
"Se la caverà Katie. È Dylan, riesce sempre a cavarsela..." le ricordai per confortarla, anche se non ne ero tanto certa.
"Anche se fosse...non sarà l'ultima volta...sono stanca di questo..."
"Lo so. Lo so. Ma pensiamo ad un problema alla volta okay? Parlerò con Tom, ora che lavorano insieme può interferire e forse riesce a calmare le acque. Ma per ora dovete restare uniti. Non è il momento di litigare questo. E le bambine non dovrebbero sapere quello che sta succedendo Katie. So che eri presa dalla rabbia, ma ti prego...fa il possibile per preservare la loro innocenza. Okay?" Lei annuì e si asciugò il viso dalle lacrime.
"Avanti ora, riposati un po'. Parlerò io con Dylan. Lascia che le gemelle stiano da me stasera," suggerii e lei annuì nuovamente prima di attirarmi in un altro abbraccio.
"Grazie per tutto Layla," sussurrò. Ricambiai l'abbraccio e sorrisi.
"Non è niente che tu non abbia già fatto per me..."

*

Tornai a casa insieme a Stella e Rosie. Le due saltarono in braccio a Rick appena lo videro e lo riempirono di baci. Non c'era bambino al mondo che veniva in contatto con Rick senza volergli bene e affezionarsi a lui. Aveva semplicemente un talento naturale con i piccoli.
Quando Rick le fece atterrare, le due si misero a correre per la casa in cerca di Jamie.
"Tutto a posto dai Belov?" Mi chiese Rick, che aveva dedotto l'anomalia  dalla presenza delle ragazze a casa nostra . Scossi la testa e sospirai in malinconia. "Dylan è finito di nuovo nei guai," spiegai e lui annuì comprensivo.
Andammo in salotto dove trovai i Donovan occupare i medesimi posti dell'ultima volta. I loro sguardi erano rivolti verso la partita di football trasmessa in televisione, fino a quando non furono distrarti dalle grida entusiaste dei bambini, che iniziarono a correre in giro per il salotto.
Dom mi salutò appena mi vide ed io ricambiai con un sorriso.
Per quanto riguarda l'altro, non lo guardai nemmeno. Avevamo stipulato un accordo mentale che prevedeva che l'uno ignorasse l'altra, e viceversa.
"Mamy!" Urlò Jamie, in procinto di saltarmi addosso. Nonostante la stanchezza, lo tirai su e lo accolsi con un caldo abbraccio e un bacio sulla guancia.
"Hai visto chi è venuto a farti visita?" Chiesi mentre mi approssimavo al divano situato fra le due poltrone occupate dai Donovan. Jamie annuì e, quando crollai sul divano, si sedette a cavalcioni su di me e cominciò a giocare distrattamente con i miei capelli. Le gemelle , troppo timide per parlare agli sconosciuti, si misero ognuna al mio fianco. Solo allora catturai l'occhiata interrogativa, quasi terrificata, di Dom. Ridacchiai, imbizzarrita dalla sua reazione.
"Sono le bambine dei vicini," spiegai e lui annuì, visibilmente sollevato dal fatto che non erano mie.
"Dov'è Thomas?" Domandai a Rick.
"Sta preparando la cena. Non aveva voglia di pizza oggi." Annuii. Tornai a focalizzare su mio figlio. "Raccontami, cos'hai fatto oggi?" I suoi occhioni  cristallini s'illuminarono di entusiasmo e, come se non aspettasse altro, iniziò a raccontarmi le sue avventure. La nostra chiacchierata durò fino a quando Tom irruppe nel salotto, annunciando che la cena era pronta.
Lo seguimmo tutti e ognuno occupò una posto intorno al tavolo. Presi due sedie extra per Rosie e Stella e le posi ai lati di Jamie cosicché si sentissero a loro agio.
Aiutai Tom ad apparecchiare senza mai parlargli o guardarlo negli occhi, poiché serbavo ancora rancore per quel che aveva fatto. Misi le posate davanti ad ognuno e tutti ringraziarono. Persino Cole, che sedeva alla mia sinistra. 
Quando tutto era pronto, occupai la mia sedia e feci del mio meglio per ignorare l'energia negativa che proveniva dal suo lato. Tom riempì i nostri piatti con invitanti spaghetti al ragù e prese posto vicino a Rick. Fece una breve preghiera per benedire il cibo, poi ci invitò ad iniziare. Partí l'orchestra scoordinata  delle forchette che punzecchiavano il piatto.
Il cibo fu gustato e ben apprezzato, e mio fratello fu complimentato dai nostri ospiti. I silenzi furono colmati con conversazioni superflue riguardanti il football.  Anche i bimbi sembravano coinvolti in un dialogo che non riuscivo a cogliere. Gli unici che non sentivano il bisogno di parlare eravamo io e Cole. A pensargli, voltai il viso inconsciamente e alzai gli occhi sul suo viso. Lui non si accorse, poiché era incantato per conto suo. É proprio bello, pensai mentre immaginavo di far scorrere il dito lungo l'incavo scolpito della sua mascella. Notai che sulla pelle lattea del collo lungo e spesso vi era un neo piccolo. Sulle spalle, come intravedevo dai confini del girocollo della maglietta, si espandeva un prato di lentiggini marcate; immaginai che si estendessero imperiose anche lungo  l'ampiezza del suo petto. Stavo pensando che sarebbe stata bella la sensazione di poggiarci sopra la mia mano, la mia bocca, quando mi accorsi che i suoi occhi irritati erano su di me. Con un'occhiata apologetica, arrossii e abbassai il capo sul mio piatto.
Mi resi conto che la piccola Stella continuava ad arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta senza mai metterseli in bocca. Aveva la guancia appoggiata al palmo della mano e il suo volto esprimeva una tale cupezza che mi sentii in pena per lei. "Stella, stai bene tesoro ?" Chiesi, interrompendo le altre conversazioni. Lei non rispose, si limitò solo ad alzare le spalle e a sospirare malinconicamente.
Decisi di lasciarla in pace, non volendo metterla a disagio. Tuttavia l'imbarazzo che le risparmiai le fu presto accreditato dalla sorella che, intervenendo, disse, "Stella pensa che papà morirà." Un paio di forchette caddero causando un rumore assordante. Spalancai la bocca e sgranai gli occhi, scioccata dall'intervento di Rosie. "Rosie, perché dici così?" Domandò Tom rivolgendole un'occhiata confusa. "Dylan sta bene?"
"Sta benissimo, non gli succederà niente," tagliai corto, decisa a troncare quella conversazione.
"Papà sta bene. Ma degli uomini cattivi vogliono ucciderlo," spiegò questa volta Stella. Non feci nemmeno in tempo a cambiare argomento che Jamie intervenne dicendo, "non avere paura Stella. Se anche il tuo papà se ne va ti posso prestare lo zio Tom, o Ricky. Sono fantastici." Tom soffocò nel boccone di spaghetti ed iniziò a tossire; Ricky gli passo il suo bicchiere di acqua. Gli adulti rimanenti si schiarirono la voce, guardarono altrove, fecero finta che l'imbarazzo non c'era. "Jamie, non puoi...non dire queste cose. Ti ho già detto che il tuo papà è in missione, non se n'è andato per scelta. E nemmeno il loro se ne andrà. E ho già...ho già detto che Dylan sta bene. Nessuno gli farà del male."  Guardai i due fratelli con disprezzo, rendendomi conto che erano loro la causa prima dei nostri problemi. Dom fece due più due e, cogliendo il mio collegamento, rimase accigliato.  Anche Cole arrivò alla stessa conclusione, ma non sembrò minimamente disturbato.
Strinsi la forchetta fra le dita per scaricare la tensione che ormai mi soffocava e tenni lo sguardo fisso sul piatto ancora mezzo pieno.  Seguitò un silenzio assordante.
Al termine della cena Tom sparecchiò, io cominciai a lavare i piatti e Rick portò i bimbi a lavarsi i denti prima di metterlo a letto. Nel frattempo, Tom prese fuori delle birre dal frigo e iniziò fumare con i ragazzi. Come se niente fosse successo, ripresero a parlare di sport come se fosse l'unico argomento di cui si poteva discutere.  Intanto Dominic mi lanciava delle occhiate che intravidi attraverso il vetro della finestra. Sogghignava e mi guardava con occhi giocosi e flirtanti, come un cucciolo che vuole farsi perdonare dopo aver combinato un pasticcio. Ma io ero troppo infuriata per assecondare i suoi giochetti, per cui distolsi lo sguardo e continuai a insaponare i piatti.
Una volta finito mi asciugai le mani e afferrai una delle bottigliette di birra che giacevano sul tavolo. Dom mi offrì una sigaretta, ma la rifiutai scuotendo la testa: ero l'unico membro della mia famiglia che non aveva molta simpatia per il fumo. Aprii la bottiglietta di birra e ne bevvi un lungo sorso; rimasi appoggiata contro il bancone in attesa che qualcuno accennasse alla storia di Dylan.
Rick tornò e prese posto accanto a Tom. Di nuovo football, niente Dylan.
Continuai ad attendere fino a quando la mia pazienza arrivò ad un limite. Allora appoggiai grezzamente la bottiglia sul piano e uscì con fretta e furia dalla cucina. Bollivo di rabbia e frustrazione. Se non fossi uscita presto da lì avrei messo le mani sui due fratelli. Attraversai il corridoio per raggiungere la mia stanza, ma nel momento in cui impugnai la maniglia della porta qualcuno afferrò il mio braccio e mi fece voltare. Mi liberai dalla sua stretta tirando il braccio indietro e gli ringhiai contro, "cosa vuoi Dom?"
"Possiamo parlare?"
"Perché? Così puoi manipolarmi di nuovo e distorcere tutto il male che tu e tuo fratello state diffondendo?"
"Non voglio manipolarti. Voglio solo parlare di questa faccenda. Non è quello che vuoi?"
"Quello che voglio è non avervi mai conosciuti!" Esclamai deliberatamente. Lo sguardo di Dom si indurì e le mascelle si serrarono formando l'ombra di una linea che tagliava le guance trasversalmente. L'espressione indecifrabile sul suo volto non mi permetteva di capire se fosse arrabbiato oppure ferito dalle mie parole. Ma comunque non me ne preoccupai: non potevo provare empatia per un criminale intenzionato a ferire delle persone a me care.
"Senti...capisco quello che stai provando ora. Capisco il disprezzo che provi nei miei confronti , ma in questo momento ti sto offrendo la possibilità di parlare della situazione del tuo amico. Che dici? Ti interessa sentire quel che ho da dire a riguardo o no?"
"Bene," sibilai a denti stretti. Lo superai scontrando aggressivamente la mia spalla contro il suo bicipite e uscii di casa. Lui mi seguì.
Iniziammo a camminare lungo lo stesso percorso dell'ultima volta , con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo fisso sul fondo viale. "Prima di parlare del destino del tuo amico devi capire il perché di tutto questo, " iniziò Dom.
"Il mio amico ha un nome. Si chiama Dylan," lo interruppi con voce aspra.
"Bene. Devi sapere che c'è una lunga rete di capi e fornitori che sta al di sotto di noi. Nella vita di ogni business man di successo arriva il punto in cui egli non può più controllare tutto da solo e, quindi, deve per forza distribuire l'incarico della supervisione fra i suoi subordinati. Per questo io e Cole ci occupiamo solo delle faccende più importanti; non abbiamo a disposizione il tempo di gestire e rintracciare le attività di ogni singolo uomo che lavora per noi."
"Quindi? Mi vuoi dire che non sapevi niente di Dylan?" Domandai impaziente quando si fermò.
"Al contrario, so tutto di lui... Vedi? Ti ho detto che io e Cole ci occupiamo solo delle faccende importanti, e credimi...quello che ha combinato il tuo amico è una faccenda importante."
"Che ha fatto?"
"Gli era stata affidata una transazioni, ma ha bruciato metà dei soldi che ci doveva nel gioco," spiegò con calma. Conoscevo il peso di ogni singola parola da lui pronunciata. Sapevo che quel reato, rubare a un gangster, avrebbe scaturito una sentenza di morte immediata per chiunque l'avesse commesso;  Dylan era fortunato ad essere ancora in vita.
"Come può aver giocato tutti quei soldi? Non capisco..." mormorai passandomi le dita fra i capelli. Dopodiché Dom alzò gli occhi al cielo e mi fece una domanda che non mi aspettavo.  "Layla, tu credi in Dio?" Guardai su anche io, come se il volto di Dio potesse apparire  fra le stelle da un momento all'altro. "Sì, certo che ci credo."
"Allora credi anche nel diavolo..."
"La presenza dell'uno presume quella dell'altro. Quindi sì..."
"Beh, sai quando stai per fare qualcosa di sbagliato e ne sei consapevole, ma senti questa voce dentro la tua testa che  cerca di sedurti e di convincerti che sarà bello , che ti farà sentire bene?" Chiusi gli occhi e mandai giù il nodo in gola. "Sì," ammisi con tono strozzato, e proseguii, "é la stessa voce che dopo ti umilia e ti fa sentire in colpa per quello che hai fatto."
"Già...vedi Layla? Cerchiamo sempre delle risposte complicate e puntigliose, quando la maggior parte delle volte stanno proprio sotto i nostri occhi, sotto la nostra pelle...lo so che il tuo amico non ha giocato con cuore leggero; so che lo ha fatto perché ha preferito credere che ci avrebbe guadagnato, ma fatto sta che in un modo o nell'altro sappiamo sempre quando una decisione è giusta  e quando è sbagliata. Siamo noi che scegliamo se credere alla bella bugia o sottrarci ad essa."  Mi piacque quel ragionamento. Ricordo che il pastore della nostra chiesa ne aveva fatto uno simile qualche tempo prima. Ma non mi aveva minimamente toccata quanto questo. Forse perché detto da un pastore sembrava una frase recitata, detta con leggerezza: sei un pastore, per te è semplice vivere senza peccato. Ma detta da Dominic Donovan, che di peccati se ne doveva intendere, suonava più reale. Era una lamentela della sua debolezza di spirito, del suo nostro continuo cedere ai desideri della carne. Era un tentativo di apologia, come per dire: è colpa della voce che cerca di sedurmi, non mia. Ma nemmeno lui poté trascurare la parte essenziale, ovvero la presenza del libero arbitrio, con cui scegliamo se cedere o deviarci dal peccato. Era bello sapere che non ero l'unica ad avere questi conflitti spirituali in un mondo in cui la gente metteva muto ogniqualvolta Dio appariva in scena.
"So che devi farlo...ma ti prego Dom, non lo fare. Tu non conosci Katie. Lei ha già una brutta storia con gli antidepressivi, è molto...molto fragile. Non lo può perdere..." Lui aprì bocca, ma lo interruppi e proseguii. "Troveremo il modo di ripagarti. Ho da parte un po' di soldi che tenevo da parte per mandare Jamie al college, ma  è più importante salvare Dylan a questo punto. Tom, Rick...avranno qualcosa anche loro; troveremo il modo di restituirvi i trentamila."
"Vi ha detto trentamila?"
"Sì..." Dominic sorrise. "Ovvio..."
"Quanto vi deve?" Chiesi.
"Lascia perdere. Ci penserò io."
"Che vuol dire che ci penserai tu?"
"É libero di andare. Ma lui e la sua famiglia devono sparire da questa città." Alzai un sopracciglio e incrociai le braccia davanti al petto. "E perché mai lo faresti?" mi azzardai a chiedere, faticando a credere alle sue parole.
"Perché me lo hai chiesto tu," sussurrò abbozzando un sorriso.
"A che gioco stai giocando?"
"Non c'è nessun gioco. Il tuo amico è libero."
"A quale condizione?" Insistetti.
"Non c'è nessuna condizione."
"Non ti credo. Dimmi cosa vuoi in cambio. Cosa...cosa ti aspetti che.." Deglutii, disgustata anche solo all'idea di pronunciare la domanda. "Cosa ti aspetta che io faccia in cambio?"
"Non voglio niente in cambio. Promesso." Lo guardai con sospetto ma rimasi in silenzio, non sapendo che dire o pensare.
"Puoi non tenermi più il muso ora?" mi chiese abbassando una mano per accarezzare la mia guancia. Feci un passo indietro e spinsi via la sua mano.
Lui alzò gli occhi al cielo, ma poi arretrò e sollevò le braccia in segno di resa. "Non ci stavo provando Layla. Non ti toccherò finché non sono sicuro al 100% che mi vuoi. Sono un gentiluomo." Arrossii, imbarazzata per l'eccessiva aggressività.
"Bene. Ma non esserne tanto sicuro..." risposi con finto coraggio. Lui volle replicare, ma io sentenziai, "torniamo indietro."
Dom mi sorrise di nuovo e mi fece strada. Tornammo a casa, anche stavolta in completo silenzio.

Bulletproof HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora