Capitolo 51

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Ottobre

La luce fiacca dell'alba trafilava fra i fori della tapparella, proiettando nel mio bugigattolo mentale raggi di speranza sardonica. La stessa speranza che avevo condiviso con Cole quando, dopo un estenuante viaggio verso il Michigan, ci eravamo fermati nel piccolo motel a pernottare. Mi rammentai di quanto ero felice quella mattina mentre le sue braccia mi tenevano ancorata a lui e i miei occhi si dileguavano insieme allo scorcio delle prime tracce dell'arancione dorato dell'alba. Sembravano passati decenni da allora, quando ancora stentavo a credevo al suo "non posso essere come tu mi vuoi" e mi illudevo che quelle erano parole buttate al vento. Parole innocue. Allora nascondevo la testa sotto la sabbia, scegliendo di non dare importanza a ciò che nel suo atteggiamento poteva essermi nocivo. Invece mi ero abbandonata ciecamente alla sua promessa che sarebbe valsa la pena di aspettarlo e che un giorno sarebbe stato in grado di darmi ciò di cui avevo bisogno.
Il rancore dilaniò le mie ossa con uno spasimo lancinante. Mi aggrappai al lenzuolo, strizzando tanto forte da sentire le unghie conficcarsi nel palmo della mia mano. Un groviglio minacciò il mio stomaco, che presto si contrasse prima di  pompare la cena della sera prima in alto verso la gola. Mi tappai la bocca e, con un guizzo, mi alzai in piedi arrancandomi verso il bagno.
Mi piegai sul water appena in tempo per rigurgitare tutto. Il mio viso diventò paonazzo e dallo sforzo i miei occhi emisero uno stillicidio di lacrime. Quando lo sfogo del mio stomaco terminò, mi sollevai languidamente dal water ancorandomi al bordo della lavatrice e tirai giù lo sciacquone prima di sedermi sul pavimento. Stesi le gambe e posai una mano sul ventre.
"Ti piace torturare la tua mammina vedo..." biascicai strofinando il tessuto della canotta. "Sai? Non hai niente da temere. La tua mamma e il tuo fratellone si prenderanno cura di te...e tutto questo...tutto questo passerà..." seguitai a mormorare, nonostante faticassi persino io a credere all'ultima parte.
Passerà mai? Mi riprenderò mai da questo languore?

Ero assorta in una dimensione afosa e incalzante, entro la quale lottavano monologhi che di volta in volta mi separavano dal mondo che mi circondava, spingendomi a diluirmi e a perdermi nella mia stessa coscienza. E ogni tentativo di rinsaldare i nessi con la realtà era un atto vano.
Per acquietare le preoccupazioni di Tom e di mio figlio, i quali non avevano la minima idea di cosa stesse succedendo nella mia vita (e francamente nemmeno io ne capivo tanto ormai), mi ero impegnata a riprendere la mia vecchia routine quotidiana. Mi alzavo presto, preparavo loro la colazione, portavo Jamie a scuola, poi andavo a lavoro e tornavo la sera.
Vedevo ancora Cole quando veniva insieme al fratello a casa nostra per sbrigare certi affari con Tom e Rick. Malgrado evitassi meticolosamente quei suoi occhi tanto incisivi quanto inesorabili, era inevitabile incrociare il suo sguardo, che non falliva mai a scuotere il mio avvilimento e la mia ripugnanza verso me stessa. Ogni volta che mi guardava pareva quasi prendersi gioco di me, perché le sue espressioni non erano trionfanti o fiere di avermi umiliata e fatta sentire lercia, così come le immaginavo nei miei incubi. Ma invece sembravano genuinamente desolati e pentiti. Addirittura pietosi e dimessi.
In questo suo atteggiamento fiutavo un'inspiegabile malizia e disonestà, che poteva essere o puro istinto o frutto del mio scetticismo.
In un modo o nell'altro, non ne volevo più sapere. Coleman Donovan era stato la ciliegina sulla torta delle mie disavventure con gli uomini, per cui le sue apologie articolate in sguardi colpevoli non sarebbero servite a nulla, se non a degradarmi di volta in volta.

Il monologo interiore non desistette finché il sole non fu completamente sorto e l'allarme della sveglia non prese a tintinnare. Mi alzai dunque in piedi, intirizzita dal lungo contatto con il pavimento gelido e tornai in camera a spegnere la sveglia. Diedi un'occhiata a Jamie, che dormiva pacificamente con la gamba e il braccio avvinghiati al cuscino e i capelli setosi e dorati sparpagliati attorno al viso e sulla sua fronte. Un sorriso incrinato affiorò sulle mie labbra e un calore tenue avvolse il mio petto. Rimasi in piedi a studiare e a memorizzare quell'immagine e a realizzare che, in fondo, qualche nesso con la realtà ce lo avevo ancora.

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