Capitolo 12

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Cole

La sveglia scattò imitando il suono di un'allarme che diventava sempre più forte e fastidiosa. Aprii gli occhi sbadigliando ma rimasi disorientato per qualche secondo nel notare la mancanza della luce del giorno. Mi ricordai poi del lungo viaggio che mi aspettava e sbuffai prima di alzarmi in piedi.
Mi feci una doccia calda poi tornai a vestirmi in camera prima di scendere in cucina a farmi del caffè.
Mi guardai attorno esaminando le mura che mi circondavano mentre sorseggiavo la bevanda calda: la casa non era mai sembrata tanto vuota prima. Forse era il silenzio della notte, o forse era la semplice assenza di mio fratello , il quale in passato aveva preso l'abitudine,-anzi-, il vizio  di portare in casa ogni persona con cui stringeva amicizia-in particolare le nuove amiche che facevano più chiasso di un branco di galline.
Tutto ciò non importava più però. Dom sembrava aver perso interesse in qualsiasi donna al mondo che di nome non facesse Layla Bell, la sorella dell'hacker.
Ancora stentavo a credere che fra tutte le donne che aveva avuto, era stata proprio lei a guidarlo verso l'espiazione.
Non che fosse brutta, anzi-con i suoi lineamenti regolari, la statura medio-alta e il fisico proporzionato- era abbastanza carina, secondo gli standards di bellezza imposti dalla società, ma non era niente di particolarmente straordinario rispetto ad altre donne con cui lo avevo visto in passato.

La mia potrebbe sembrare pura superficialità, tuttavia il mio criterio di giudizio non si basa su un'osservazione soggettiva ma su dati di fatto. Infatti , nel scegliere le amiche, Dom non aveva mai preso in considerazione il loro carattere o la loro personalità ma si era sempre soffermato sull'aspetto esterno, il che è abbastanza comprensibile visto che non aveva mai mirato a relazioni serie.
Per questo stentavo a credere che una ragazza semplice e umile come Layla Bell fosse riuscita a fare l'impossibile: stregare Dominic Donovan.

All'impatto positivo che Layla aveva avuto su Dom si contrapponeva fortemente quello negativo che aveva avuto su di me. Tuttavia la mia irritazione nei suoi confronti e la frustrazione che provavo ogni volta che il mio sguardo incrociava il suo non erano del tutto infondati...
Si da il caso che ogni minimo gesto di quella ragazza risvegliasse in me il ricordo dell'unica persona al mondo che avrei voluto cancellare dalla mia memoria....
Il modo con cui i capelli neri ondulati le incorniciavano il viso ovale; le carnose labbra  rosee che contrastavano la carnagione abbronzata e gli occhi scuri; il modo con cui si passava le dita fra i capelli ogni volta che era nervosa; la camminata sempre svelta come se ogni minuto fosse l'ultimo della sua vita; il suo modo di comunicare con lo sguardo senza nemmeno dover usare le parole; il suo dannato abbraccio che, per un secondo, mi aveva concesso l'illusione di stringere lei fra le braccia.
Non c'era cosa in Layla Bell che non mi facesse pensare a lei.
Per questo, ogni secondo trascorso con Layla Bell era momento di tortura, di dolore e di rancore.

Lo squillare del telefono interruppe i miei pensieri incitandomi ad appoggiare giù la tazza di caffè ormai tiepido per sollevare l'aggeggio rumoroso e rispondere.
"Cole?" La voce di mio fratello parlò all'improvviso.
"Dom," risposi imitando il tono interrogativo.
"Sei partito?"
"Tra poco vado."
"Lo sai che non devi per forza-"
"Dom," lo interruppi digrignando i denti.
"No, mi devi ascoltare. Per una volta cazzo, dammi retta."
Rimasi in silenzio.
Dopo qualche secondo ricominciò a parlare. "Cole, ti ho trascinato io in questo casino. Non mi devi niente e , soprattutto, non mi devi la tua vita."
"Ho voluto io entrarci e ci starò dentro fino all'ultimo. Farai meglio ad iniziare ad abituarti all'idea."
Ci fu un lungo momento di silenzio.
"Hai informato Winston della novità?" Domandò.
"No."
"E pensavi di partire senza dire niente?"
"Tanto cosa cambia? Faranno quel che dico comunque."
"Questo gioco non è solo nostro Cole. Quando lo capirai?"
Digrignai i denti tentando di gestire l'irritazione.
"Fai come vuoi. A sto punto non penso neanche che li importi."
"Abbi pazienza...arriverà il nostro momento..."
"Sì, arriverà. Ma farà meglio a muoversi..."

*
Chiamai Winston e lo avvertii della mia presenza. Questo, seccato dal fatto che non lo avevo avvertito, non fece altro che darmi la confermare per partire-anche se non gliel'avevo nemmeno chiesta.

Infilai dentro la macchina il borsone con i vestiti di ricambio -con anche qualche arma da fuoco infilata in mezzo- poi portai la Tesla S rossa fuori dal garage.
Partii.
*

Il tragitto durò circa sei ore, incluse le fermate in autostop per benzina e caffè.
Alle cinque del mattino arrivai a Detroit e mi fermai al primo hotel che incontrai sulla mia strada, bramando una doccia e un letto.
Troppo stanco anche solo per pensare alla ragione per cui ero lì, mi addormentai risvegliandomi quattro ore dopo.

Al mio risveglio chiamai Javier per farmi dire il luogo in cui l'avrei incontrato.
Armato di una beretta 92 , infilata nella parte anteriore dei pantaloni, lasciai l'hotel e salii in macchina indirizzandomi verso la Packard-la ex fabbrica automobilistica ora abbandonata-
in cui avrei incontrato Javier e-molto probabilmente- anche il suo capo.

Una ventina di minuti più tardi raggiunsi la fabbrica, che era l'ennesimo edificio andato in rovina di Detroit.
La casa automobilistica che un tempo era specializzata in auto di prestigio e che aveva avuto un successo internazionale durante la prima metà del novecento, ora si reggeva a malapena in piedi. Le finestre erano quasi tutte spaccate, le mura erano ricoperte di graffiti e sulla strada che la circondava erano accumulati diversi rifiuti, da sacchetti di plastica neri a lattine di birra mischiate alle briciole di neve che ricoprivano il viale.
Era l'ennesima zona trascurata dalla bella patria.

Un'auto frenò improvvisamente alle mie spalle costringendomi a voltare lo sguardo nella sua direzione.
Un fuoristrada nero blindato era parcheggiato perpendicolarmente alla mia macchina, quasi come fosse stato sul punto di schiantarla. Lo sportello venne aperto : dal lato del conducente uscì un grosso uomo di colore , dall'altro spuntò fuori Javier.
"Cole Donovan!" Esclamò l'ometto dall'accento messicano mentre avanzava nella mia direzione. Lo esaminai con lo sguardo sospettando del suo entusiasmo eccessivo.
"Javier Rodriguez," risposi severamente senza mostrare alcuna emozione.
Nel frattempo l'altro uomo rimase impalato in piedi con le gambe divaricate e le mani unite davanti, una delle quali stringeva una pistola puntata a terra.
"Hai fatto un lungo viaggio per arrivare qui. C'era traffico?" Parlò nuovamente Javier , che ora si trovava a pochi metri da me.
Lo fulminai con lo sguardo. "Perché ci hai chiamato?"
Lui sospirò , poi si accese una sigaretta e me ne offrì una, che accettai.
"Non sei uno stupido Cole, sai bene perché sei qui..." rispose lui.
Inspirai la sigaretta e lo trattenni per qualche secondo prima di mandare giù e lasciare una nuvoletta di fumo uscire dalle labbra.
"Perché ci hai chiamati?" Ripetei mantenendo la calma. Lui mi lanciò uno sguardo quasi imbarazzato mentre si grattava la nuca nervosamente. Presi un secondo lungo tiro dalla sigaretta.
"C'è qualcuno che è interessato a fare affari con voi...qualcuno di importante..." spiegò.
"Chi è?"
Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno a parte noi fosse nei paraggi, poi fece un ulteriore passo in avanti.
"E'...uhm...si tratta di Nevarra.."
Il sangue si raggelò nelle vene quando sentii quel nome: un flusso di ricordi proveniente da un passato lontano invase la mia mente causandomi un istante di sbalordimento.
Un istante che però non lasciai durare a lungo.

Tornai in me serrando le mascella e mi mascherai di quell'espressione severa che non falliva mai ad intimidire le persone.
"Bene. Portami da lui."

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