Capitolo 13

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HARRY'S POV.

Non sono mai stato uno a cui piacciono i soprannomi: odio quando i miei amici mi chiamano Edward, il mio secondo nome, sopporto a malapena quando mi appellano con Hazza, o Haz e vado, totalmente, in escandescenza quando quel coglione di Louis mi d...

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Non sono mai stato uno a cui piacciono i soprannomi: odio quando i miei amici mi chiamano Edward, il mio secondo nome, sopporto a malapena quando mi appellano con Hazza, o Haz e vado, totalmente, in escandescenza quando quel coglione di Louis mi definisce amoruccio. Ma stavolta, quello che per Sophy non è altro che un insulto, per me è l'esatta descrizione di ciò che sono: idiota. E' proprio così che mi sento, adesso, e in effetti, solo un idiota di prima categoria passerebbe una notte insonne a fissare il soffitto, crogiolandosi nel pensiero di un pomeriggio in compagnia di una ragazza, solo un idiota si troverebbe alle sette del mattino, di lunedì, di fronte al portone di una villetta, nella quale non è, nemmeno, mai stato invitato ad entrare.

Sfrego le mani tra loro, nel vano tentativo di riscaldarle, è fine Novembre ed il freddo pungente comincia a farsi sentire, soprattutto a quest'ora del mattino. Punto lo sguardo sull'orologio al mio polso notando che è già passata mezz'ora: sono le 7.30 e lei non è ancora uscita di casa per andare a scuola. Stringo le nocche attorno al manubrio della moto che papà ha voluto regalarmi, nel vano tentativo di giustificare la sua continua assenza dalla mia vita, sperando sia il modo corretto per scaricare la tensione. Dannazione, non sono mica una femminuccia!

Stai aspettando una ragazza che probabilmente farebbe di tutto per evitarti.

No!

Non è possibile. E' vero, Sophy è quasi sempre nervosa ed incazzata quando si tratta di me, ad un certo punto ero persino arrivato a credere che mi odiasse sul serio, ma quel bacio, il modo in cui si è lasciata trasportare da me, come pretendeva che andassi sempre più a fondo, rovistando, in modo deciso e allo stesso tempo delicato, con le dita tra i miei capelli, mi hanno convinto del contrario, nonostante lei si ostini ad affermare la non volontà delle sue azioni.

Torno a concentrarmi sulla lancetta dell'orologio, sono passati altri cinque minuti, magari non verrà a scuola e io ho mandato a puttane la mia sessione di flessioni mattutine per essere puntuale.

Nessuno sa che sei qui, demente!

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Nessuno sa che sei qui, demente!

E' bello sapere come la voce della tua coscienza non perdi occasione per aprirti gli occhi sull'ovvio e ricordarti che sei un completo fallimento. Ma che mi è venuto in mente? Piombare qui, senza preavviso, convinto che potesse essere un gesto sorprendentemente apprezzato. Questo va oltre la realtà, persino per me. D'altronde però, in particolare in questi anni di liceo, ho imparato a farmi valere e a non lasciarmi impaurire da niente e nessuno, oltre che ad odiare fermamente un qualsiasi rifiuto. Scuoto la testa, rassegnato e, probabilmente, deluso.

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