PROLOGO

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Avevo giurato a me stessa di non mettere mai più piede in questo posto.  Troppi ricordi. Tutti brutti. Nessuno bello.

Poi Serena  si è ammalata e sono finita qui. Poi Max è stato aggredito alle spalle e io sono di nuovo qui.

Sono svuotata, non provo più niente. Non provo rabbia, non provo dolore, nemmeno rassegnazione. Sono solo un corpo stanco che ha a malapena la forza di camminare.

È come se si fosse calato il sipario che indica la fine dello spettacolo. Non c'è più niente da raccontare, è tutto finito. Tutto è finito male.

Sono circondata dalla gente ,ma mi sento sola, incapace di essere compresa da qualcuno. Vorrei sfogarmi, ma non basterebbe distruggere l' intero mondo per esaurire la mia frustazione. Non ho abbastanza urla in corpo per poter gridare ai quattro venti la mia stanchezza.

Sprizzo talmente tanta negatività che ho l' impressione di tramutare in nero il bianco delle pareti che mi circondano.

Una donna anziana accanto a me stringe fra le dita una collana con
l' immagine di Padre Pio sopra e dice un rosario a bassa voce.

Dall' altro lato della stanza una giovane coppia sposata parla fra loro. La donna poggia una mano sul suo pancione come se quel semplice gesto potesse proteggere il suo piccolo bambino. L' uomo si agita, ma cerca di non farlo vedere. Ha le mani arrossate a forza di contorcele e il colletto inzuppato di sudore.

Un uomo sulla settantina si siede al mio fianco con un fazzoletto bagnato in mano. Si asciuga una lacrima che gli riga il volto e si appoggia con la guancia sul suo bastone.  Poco dopo si soffia il naso.

Sono l' unica che non ha mosso un arto. Immobile, silenziosa, imperturbabile.

Una maschera da combattente dietro un cuore da agnellino.

<<Posso?>> Alzo il viso e mi ritrovo un' altra donna di mezza età che mi sta fissando con le mani su una carrozzella.

Mi alzo e lei prende il mio posto solo dopo avermi ringraziato e avermi dedicato un sorriso sincero che non ricambio.

Non posso far a meno di guardare la bambina sulla carozzella. È molto piccola e graziosa. Ha una treccia di lato, gli occhi grigio-azzurro, le labbra scure che creano un contrasto con la carnagione chiara.

Quello che mi colpisce di più non è la mancanza di una gamba, ma il modo in cui sorride, come se stesse vivendo il giorno più bello della sua vita.

L' anziana segue il mio sguardo e io abbasso la testa imbarazzata.

<<È mia nipote. Si chiama Jessica, ma noi la chiamiamo Jessy>>

La piccola mi saluta con la mano.

"Wow, ha il mio stesso nome" Vorrei rispondere, ma non ho le forze per aprire una conversazione.

Mi limito ad annuire e a guardare altrove.

<<Sa, ragazzina>> Sento dire dietro di me :<< La speranza è l' ultima a morire, non è vero Jessy?>>

<<Assolutamente vero, nonna>>

Sembra esserci davvero fin troppo  altruismo per essere contenuto in un corpo così piccolo...

Immagino il modo in cui questa bambina vede il mondo. Bianco e Nero. Come vivere perennemente in un film senza colori. Ha sicuramente una visuale diversa da quella di chiunque altro, ma in sua compagnia sembri dimenticarti che lei si trovi su una sedia a rotelle.

<<Se vuoi farmi una domanda puoi farla>> La piccola Jessy ricambia il mio sguardo.

<<Jessica Patterson?>> Un uomo con un camice bianco esce dalla porta di fronte alla coppia sposata.

Per un attimo il mio cuore fa un balzo in gola, ma poi ritorna al suo ritmo regolare. O quasi.

<<Sì?>> Chiedo.

<<Max è- è- è...>> Prendo un forte respiro prima di continuare
<<è vivo?>>

<<Mi spiace...>> Il modo in cui lo dice fa capire tutt' altro. Mi guarda in modo indifferente, lo sguardo di chi non se ne frega di niente e  di nessuno.  Come se mi stesse informando di quale squadra abbia vinto la partita di calcio.

<<P-p-erchè le spiace?>> Quasi mi strozzo per fare questa domanda.

Dietro di me ,Jessy sta ascoltando la nostra conversazione.

<<Il suo amico o ragazzo, Mark è...o oh, aspetti si chiama Max?>>

<<Arrivi al punto, cazzo!>> Urlo.

Tutti i presenti si girano verso di me. Mi guardano stralunati.

<<Il ragazzo ha avuto un trauma cranico>>

<<E?>> Inizio a perdere la pazienza.

<<Mi dispiace, ma è in coma>>








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