2.10 • Ciò che resta

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«Mamma, ascoltami! I ladri sono svenuti, Giacomo ha bisogno di andare in ospedale, ora chiamo l'ambulanza!»

Grazie al cielo Santa Maria Nuova, l'ospedale più vicino, è a cinque minuti da qui, e l'autovettura d'emergenza sanitaria è arrivata subito. Quasi contemporaneamente sono sopraggiunti anche tre agenti, due maschi e una femmina. I primi hanno preso in custodia il criminale sopravvissuto, mentre la poliziotta è rimasta al piano di sopra con Lucrezia, evitandole di vedere il cadavere. Le ore successive sono state una dura prova per tutti. 

Ci hanno divisi subito: mamma e il compagno ferito vengono scortati al pronto soccorso, mentre mia zia è passata a prendere Lucrezia, portandola in campagna a giocare con i cugini. Io invece vengo interrogato in una stanza dall'aspetto poco rassicurante, per un periodo che mi sembra interminabile. 

Il giorno seguente viene confermato a Giacomo che la lama non ha reciso nessun tendine, perciò, con l'aiuto della riabilitazione, avrebbe potuto suonare nuovamente il trombone nel giro di qualche mese. I miei hanno lasciato l'ospedale, sollevati dalla buona notizia, solo per essere riempiti di domande dallo stesso agente con cui avevo da poco passato momenti gioiosi e allegri. Purtroppo perfino Lucrezia ha dovuto subire la stessa sorte, anche se con lei sono stati più cauti e rilassati. 

Combinando le varie testimonianze, la polizia è riuscita a ricostruire facilmente la dinamica dei fatti ed il movente: i due ladri puntavano agli averi di Giacomo. Avevano notato i suoi abiti costosi, lo smartphone di ultima generazione, e soprattutto la sua stazza imponente, perciò avevano preferito non aggredirlo in strada, col rischio di venire surclassati. Invece, ci hanno tenuto tutti sotto controllo, sperando in un colpo pulito. 

Il cinque marzo è stata una mattina davvero particolare, per questo i due manigoldi sono andati contro il loro stesso piano. Lucrezia si era svegliata nel cuore della notte con la febbre più alta del normale, così mamma e Giacomo avevano chiesto un permesso. Io ero uscito al solito orario diretto a scuola, seguito mezz'ora più tardi dal resto della famiglia, in rotta però verso la pediatra. Sarebbe stato il momento perfetto per fare irruzione, ma quella pazza della nostra vicina si era seduta sul gradino del portone, e sembra ci sia rimasta quasi tre ore, felice della compagnia offerta dalle amiche di quartiere, altrettanto folli. 

A quel punto, i ladri erano indecisi se entrare o meno, ma si sono fatti coraggio notando l'ingresso lasciato aperto, convinti di avere come minimo un'ora di tempo. Con loro grande sorpresa, cinque minuti dopo i miei sono rincasati e si sono trovati di fronte gli intrusi. Giacomo ha rotto un braccio al primo, forte dei suoi anni da militare, ma non si aspettava una reazione armata dell'altro. Durante la loro colluttazione all'ingresso, Stella, probabilmente sconvolta, ha portato mia sorella di sopra, nel tentativo di proteggerla. Tutto ciò si è sincronizzato perfettamente col mio arrivo: una precisione che ha sconvolto l'intera centrale.

Il ladro che ha potuto raccontare tutto, quello più gracile e cauto, in realtà era pronto a scappare appena compresa la situazione, ma il partner non ne aveva la minima intenzione, infatti non ha esitato a recuperare dalla cucina il coltello più sporgente della fila, approfittando della distrazione di Giacomo. 

Il procuratore ha deciso in fretta di non istituire un processo, valutando che gli estremi per la mia legittima difesa erano evidenti, purtroppo però non è bastato a tranquillizzarmi. 

Una fedina penale pulita non lava delle mani sporche di sangue.

Sono stato comunque obbligato a presentarmi per due mesi da uno psicologo. Credo mi abbia aiutato, ma non è riuscito a farmi superare l'insonnia, così durante una seduta mi ha consigliato delle pasticche di melatonina, e si sono presto rivelate indispensabili. Si è raccomandato di non abusarne, e mi ha parlato di una nuova tecnica americana: "Lucid dreaming". Ho cominciato a praticarla, con scarsi risultati al momento. Non riesco a togliermi dalla testa il viso terrorizzato di mia madre.

Nel frattempo ho smesso di andare a scuola e ho saltato le nazionali di marzo. Niccolò, il mio maestro di judo, è venuto a trovarmi e mi ha chiesto di raccontargli tutto nei dettagli. È stata solo la quattrocentesima volta, una più, una meno, non ha fatto differenza. Venuto a conoscenza della dinamica, che era stata molto distorta nei giornali, mi ha invitato a ricominciare direttamente con l'allenamento speciale per la cintura nera. Non credo fosse un premio, ma un modo per spronarmi a tornare in carreggiata, o almeno l'ho interpretato così. Ho rifiutato, spiegandogli che avevo bisogno di tempo lontano dalle arti marziali.

Come potevo proseguire un percorso che mi rendeva capace di così tanto dolore?


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