4.7 • Sguardo accusatorio

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La storia di nonno Gianluca sembra fin troppo collegata al mio presente e anche questo non può essere un caso, però non devo commettere l'errore di far ruotare tutto intorno a me ribaltando l'ordine cronologico dei fatti. Il nonno non poteva sapere di Agata, perciò la sua fiaba deve racchiudere un significato più generale, una morale ampia e slegata dalle mie esperienze personali. In più, voleva che trovassi io il finale adatto, credo per lasciarmi libero di decidere qualcosa di importante e collegato all'ipotetica lezione che ha racchiuso nella favola.

Sei stato troppo criptico, nonno, e poi a mio modesto parere, la tua storia può concludersi esattamente come l'hai raccontata. So che è un epilogo piuttosto triste, ma che altro potrebbe succedere in quella situazione? Cosa può fare il Re?

Sospiro, mi giro un'ultima volta verso l'entrata della terrazza e vedo dissolversi il riflesso che conteneva il nonno. Il pulviscolo acquoso rimanente fluttua nell'aria e va a sbattere contro la porta a vetri, creando un piccolo arcobaleno. La morte dei riflessi non è per niente spaventosa, anzi, ha un certo fascino, e comunque è probabile che da quelle ceneri si generi un nuovo contenitore nel giro di pochi istanti.

Purtroppo non ho tempo di aspettare per osservare il fenomeno di rinascita, adesso ho finalmente l'occasione di incontrare Agata e non posso rischiare di essere svegliato mentre parliamo. Schiocco le dita e il paesaggio marittimo svanisce senza dissolvenze: sono sospeso in un nerissimo spazio cosmico, colmo di nebulose multicolore e stelle in procinto di esplodere. Commetto l'errore che mi ero ripromesso di evitare ragionando sulla favola, facendo letteralmente ruotare tutto l'universo intorno a me.

È una fortuna che sia a digiuno da ore, essere in mezzo ad una centrifuga di questa portata lascia lo stomaco alquanto interdetto, infatti l'organo digerente mi consiglia di fermare il processo creativo, comunque quasi concluso. Le linee luminose, generate dai corpi celesti in rapido movimento circolare, hanno formato il paesaggio fiorentino dalla prospettiva di piazzale Michelangelo. È uno dei luoghi più spettacolari e romantici della città, sono sicuro che sia un buon posto per chiedere scusa in seguito ad un litigio, anche se di solito viene scelto come sfondo dei primi baci.

Terminata l'opera architettonica, riaffiora in me un dubbio che ho sempre avuto riguardo ad Agata e i suoi spostamenti. Ogni volta che creo una struttura riesce a raggiungermi in un attimo, eppure secondo quanto mi ha sempre raccontato, lei cammina e basta. C'è sicuramente qualcosa sotto, ma affronterò l'argomento quando nuoteremo in acque meno agitate di queste, intanto devo fare pace.

Atterro sul lato destro del piazzale, gremito di riflessi intenti a scattare foto non molto artistiche, tali e quali alle migliaia di turisti che infestano il punto di interesse reale. Avanzo a passo svelto tra le mandrie, utilizzandole come scudo dal sole che si accinge ad albeggiare infastidendo il mio già debole impianto visivo. Tenendo le palpebre socchiuse, mi avvicino ad una zona sgombra dove mi aspetto di scorgere il profilo aggraziato della mia diletta.

Infatti, eccola.

Seduta sul parapetto beige che affaccia sullo skyline toscano maggiormente conosciuto, Agata ondeggia lentamente le gambe, sospese a quattro metri dalla strada sottostante. Credo sia colpa della luminosità particolare, ma ho l'impressione che il ciuffo biondo abbia guadagnato più spazio sul suo cuoio capelluto. È girata nella mia direzione, però ancora non mi ha visto, così decido di rivelare la mia presenza con una battuta, per rompere l'imbarazzo.

«Signorina, ha forse il permesso di sostare lì?»

Agata mi nota e punta gli occhi verdi sulla mia divisa da vigile urbano, fresca di sartoria onirica. Sì, il ciuffo ha sicuramente ampliato i suoi domini, mi chiedo a cosa sia dovuta l'espansione.

«Ciao».

Un saluto freddo e triste mi porta a strappare il completo che avevo appena indossato; non è in vena di ridere, e ne ha tutte le ragioni. Meglio tornare alla classica accoppiata di maglietta a maniche corte e pantaloncini, dopotutto anche lei indossa uno dei suoi soliti vestiti ariosi. Mi siedo a qualche centimetro da Agata, accusando non poco la fatica di portare le estremità inferiori in alto per raggiungere l'appoggio poco sicuro. Da lì sopra, osservo con lei la cupola del Duomo, mentre il sole rossastro si libra svelto nella parte bassa del cielo e il mio tentativo di trovare differenze sostanziali rispetto ad un'alba vera si rivela vano. Mi schiarisco la gola e provo un approccio indiretto.

«Ciao anche a te. Ieri notte non sono riuscito a fare sogni lucidi, mi dispiace di averti lasciata sola».

«Tranquillo, sono comunque quasi sempre sola».

Brivido gelido. Agata guarda fisso di fronte a lei, lasciando le sopracciglia sottili in un'espressione pensierosa. Magari un complimento potrebbe tirarla su?

«Sono io, o diventi ogni notte più bella?»

«Sei tu, Ale».

Oh no, anche "Complimento" fallisce e Ale si stordisce da solo. Chissà quando diventerò bravo a fare conversazione con le persone. Riproverei con convinzione se lei smettesse schivare il contatto visivo, anche se forse è il segnale che preferirebbe fossi più intraprendente? Poggio piano una mano sulla sua e le accarezzo le dita.

«Scusa per l'altro giorno, davvero. Non avrei dovuto abbandonarti nella villa in quel modo, ma sono andato a parlare...»

«Con Enn».

Stavolta si gira e conficca un'occhiata decisa nelle mie retine malfunzionanti.

«Credevo non sapessi di lui».

Agata [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora