2.11 • Dolci lacrime

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Sono passati tre mesi da quel fatidico giorno.

Non sono più tornato a judo, né ho intenzione di farlo in futuro. Non importa quanto ci ripensi, non riesco a vedermi come il cavaliere lucente che ha risolto la situazione: non ho salvato nessuno a parte me stesso, e ho ucciso una persona per riuscirci. Sono sicuro che avrei potuto fermarlo in altri modi, con migliaia di altre tecniche. 

Nonostante mi sia dannato per settimane, i poliziotti mi hanno quasi... ringraziato, rivelandomi in segreto quanto quell'uomo fosse una spina nel fianco, da troppo tempo. Era uno spacciatore violento, finito dietro le sbarre più volte, e rilasciato altrettante per mancanza di prove.  I telegiornali sostenevano una tesi diversa, relegandolo a criminale comune, incentrandosi piuttosto su "l'eroico ragazzo che ha protetto la sua famiglia". Che ne è uscita ugualmente ferita.

Mia sorella non ricorda nulla dell'incidente, e non ce ne siamo stupiti. Probabilmente durante l'effrazione era a malapena cosciente, a causa del febbrone. Come memento, il trauma le ha lasciato una ciocca di capelli quasi del tutto bianca. Secondo me, le donava: mi ricordava Kaneki di Tokyo Ghoul, ma l'ha voluta tingere nonostante le mie proteste. Giacomo ha ricominciato a insegnare, mentre mamma ha preso il mio posto alla vecchia palestra, iscrivendosi ad un corso di autodifesa base. Papà ha annullato le conferenze che lo avrebbero tenuto lontano fino all'estate, preferendo portare me e Lulu a visitare qualche "importantissimo sito archeologico di estrema rilevanza" qui e là in Italia, per distrarci. 

Dopo averne parlato con lo psicologo e i professori, ho deciso di tornare per l'ultima settimana di scuola, anche se mi avevano già garantito la promozione al terzo anno in circostanze speciali, grazie ai voti eccellenti di febbraio e del primo trimestre.

Ormai comincia a fare caldo. L'ultima volta che sono passato di fronte al negozio sotto casa, vendeva abiti invernali. Come tutti, ha cavalcato la moda, ed espone soltanto indumenti leggeri. Mi chiedo se esistano commercianti contro tendenza, fedeli alla stagione fredda e inamovibili nelle loro scelte di guardaroba. Qualora ne trovassi uno, per rispetto comprerei un cappello di lana e lo indosserei fino a luglio.

Allontano dalla testa i voli pindarici che ultimamente la affollano sempre più frequentemente, e arrivo in Sant'Ambrogio, molto in anticipo. Prendo posto sulla panchina di fronte alla chiesetta. Era il punto di ritrovo mattiniero con gli amici delle medie, e diavolo, sono già passati due anni. Ora che ci penso, non ho la più pallida idea di come reagiranno i miei compagni di classe vedendomi. Chi sarò per loro, un eroe o un assassino?

Chi sono io, per me stesso?

«Possibile? Non sarai mica Alessandro Bonace?»

Una voce femminile mi risveglia dal vuoto e mi accorgo di avere gli occhi pieni di lacrime. Che è successo? Mi sento come se mi fossi assentato per qualche minuto. Mi volto alla mia sinistra e vedo solo delle forme e dei colori sfuocati.

«Tieni, prendi un fazzoletto. Posso sedermi?»

Allungo la mano e tocco il soffice pacchetto dei famosissimi "Tempo", oltre che le dita morbide della mia interlocutrice. Mi schiarisco la voce e cerco di ringraziarla.

«Grazie mille, devo proprio avere una brutta cera, eh? Comunque sì, sono Alessandro».

Levo gli occhiali, tiro fuori un fazzoletto e mi asciugo gli occhi. Nel frattempo lei si siede accanto a me e poggia a terra uno zaino. Posiziono nuovamente le mie lenti concave sul naso e riottengo il dono della vista. Avendo la testa abbassata, la prima cosa che noto è il colore abbagliante del suo raccoglitore di conoscenza scolastica. 

Scosto la frangia di ricci dal viso e finalmente poso lo sguardo sulla ragazza gentile. Ha i capelli lisci, biondissimi e mediamente lunghi, portati all'indietro a parte due ciuffetti che le ricadono sul viso. Le sue sopracciglia sono sottili, curve e leggermente più scure dei capelli. Si capisce che ha le iridi verdi, ma la luce del sole che gliele sta illuminando le fa apparire quasi gialle. Ha un naso piccolo, con una lievissima gobba sotto la radice, probabilmente poco evidente di profilo. È davvero una delle più belle ragazze che abbia mai incontrato.

L'ho sempre vista da dietro, però qualche dettaglio del viso ero riuscito a scorgerlo.

«Per caso... ti chiami Giulia?»

Lei sorride e annuisce.

«Giulia Vati, piacere di conoscerti». 

Agata [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora