Che idiozia, ho ben presente la conversazione, non posso confondermi su un dettaglio fondamentale, vero, cervello?
«Dai Chiara, mi hai raccontato di tuo fratello la prima volta che abbiamo parlato, sono sicuro».
Lei inspira e stringe le labbra, non sembra in vena di scherzi. Mentre mi racconta la sua versione dei fatti, le mani cominciano a tremarmi.
«Quel pomeriggio ero giù di morale perché avevo realizzato quanto Cecilia fosse legata a te e Lucrezia, mentre io mi sentivo ancora in secondo piano. Allora, per consolarmi, hai cominciato tutto un discorso su quanto potessi risultare utile a quelle due, grazie alla mia esperienza da figlia unica. L'ho apprezzato tanto, nessuno aveva mai capito come mi sentissi».
Nessuna incertezza nelle sue parole, sguardo fisso.
Non credevo che sarebbe capitato così, ma è successo: ho mischiato un sogno inventato ad un ricordo reale.
È una sensazione terribile, come quando giocando a domino impieghi ore a posizionare ogni pezzo con la giusta inclinazione rispetto agli altri, creando percorsi curvilinei, elaborati. Poi però, dal centro e senza alcun preavviso, una tessera nera cade e porta con sé tutto il tuo lavoro. Allo stesso modo, mi chiedo quante altre sezioni della mia memoria siano state coinvolte e rovinate. Si tratterà davvero di una reazione a catena, o posso sperare in un evento isolato?
Per fortuna mi sono preparato a questa eventualità, ho solo bisogno di rileggere il diario, che cerco istintivamente tastando la tasca posteriore dei pantaloncini. Come speravo, il mazzo di chiavi è al suo posto. Tutto regolare e sotto controllo, o quasi, ma devo andare.
«Scusami, corriamo la prossima volta».
Do le spalle a Occhioni Blu e marcio verso la fermata della tranvia, poco più all'interno del parco. Quasi inciampo per colpa della ghiaia disordinata, invece sento i passi decisi di Chiara dietro di me. Contando un possibile ritardo e il tragitto a piedi, sarò davanti al computer fra quaranta minuti, posso resistere, non mi farò divorare dall'angoscia.
«Aspetta, ti senti male?»
Non ho né voglia né tempo di raccontarle del diario, rischio un attacco di panico da un momento all'altro. A dirla tutta, ho paura di rivolgerle la parola, purtroppo è la classica situazione in cui fornirle informazioni eccessive potrebbe farla preoccupare di più.
«Niente di grave, tranquilla, solo un mal di pancia».
Chiara mi afferra la mano, fermandomi, e la stringe forte.
«Di certo non ti lascio andare via così, ti accompagno».
Le nostre magliette ondeggiano leggere, imitando le fronde rigogliose degli alberi, mosse da un venticello che vorrei poter definire fresco. Resto qualche secondo a guardare Occhioni Blu e mi rendo conto di quanta sicurezza sappia dimostrare, nonostante quell'aria da nobildonna di un'epoca lontana. Come posso coinvolgerla fino a questo punto? Sa già di Agata, ma non che siamo fidanzati, quindi se leggessi il diario accanto a lei, scoprirebbe la verità, anzi, che le ho mentito.
Evidentemente turbata dal mio silenzio, mi incalza:
«Ale, dimmi qualcosa...»
La sua voce trema, forse è preoccupata per il finto malessere, oppure la ferisce l'evidente bugia. Tenendo fede alla sua fama, con lei intorno i miei dilemmi aumentano in maniera esponenziale e faccio fatica a replicare in modo arguto, però non voglio lasciarla qui come una bambina a cui si vieta di partecipare ad una conversazione da adulti, non se lo merita. Metto in fila le problematiche che si agitano nella mia testa, articolando un compromesso fra una spiegazione esauriente e una scusa.
«Senti, sono in una brutta situazione che riguarda i sogni lucidi. Ho davvero, davvero bisogno di tornare a casa il prima possibile. Per favore, so che vuoi aiutarmi, ma devo cavarmela da solo, è una questione delicata».
Ricomincio ad ansimare e a sudare, stavolta non per la corsa, ma per l'ansia crescente. Sport o meno, a quanto pare oggi non darò tregua al mio apparato respiratorio. Chiara, invece, composta e rilassata, stringe gli occhi accennando un piccolo sorriso beffardo, perfetto per sdrammatizzare. Immagino abbia apprezzato la sincerità.
«Fammi capire, se vengo con te fino a casa e poi ti saluto lì, va bene?»
Abbasso un po' la testa, accusando il colpo verbale. Assurdo, questa donna è inarrestabile, e mi sta facendo perdere fin troppo tempo. Paradossalmente, accontentarla si rivelerebbe meno faticoso e più efficiente che respingerla, la signorina mi ha incastrato. In più, se non legge il diario, non rischio nulla.
«D'accordo, d'accordo, se ti fa piacere tornare alla tua dimora con estremo ritardo, accomodati, però muoviamoci».
Mi supera trotterellando, trionfante per la vittoria. Fa strada verso il mezzo di locomozione che tanto vorrebbe essere un treno ma, tristemente per lui, è maggiormente accostabile ad un autobus. Io intanto sto morendo dentro, preso a pugni da mille dubbi sia sulla memoria che sulla mia scorta femminile. Occhioni Blu si comporta in modo fin troppo diretto e per quanto in questo momento possa risultarmi piacevole un sostegno, non voglio darle false speranze, lei non è la mia Agata.
Arriviamo alla microscopica stazione, sempre che possa definirla così, prendendo posto sull'unica panchina grigia, dal design moderno e slanciato. È la scomodità incarnata, proprio come piace a me, e ciò mi calma più di quanto sarebbe normale immaginare. Il tabellone elettronico segna il prossimo arrivo in tre minuti, troppi per restare fermo, a prescindere dall'appoggio ideale, perciò mi alzo e cammino nervosamente avanti e indietro. Chiara mi segue con lo sguardo ed evita di commentare. La ringrazio telepaticamente, non è proprio il caso di rivolgerle la parola oltre lo stretto indispensabile.
"... lo stretto indispensabile". Aiuto, mi ha assalito un dubbio, devo parlare.
«L'orso de "Il libro della giungla" si chiamava Baloo?»
Occhioni blu storce il naso, confusa.
«Perché me lo chiedi? Credo di sì».
«Perfetto, perfetto. Mi era venuta in mente una parte della sua canzoncina, avevo bisogno di una conferma immediata».
Mi rimetto velocemente seduto alla sua destra, con gli occhi puntati sullo schermo elettronico, che stavolta segna due minuti.
«Ale, non so se mi inquieti o mi diverti quando ti comporti in questo modo».
Se sapesse quanta confusione e paura ho in circolo in questo istante, credo scapperebbe a gambe levate.
«Inquietati, sono in bilico fra due mondi e forse non so più distinguerli».
Confesso, probabilmente per metterla alla prova. Allungo gli avambracci davanti a me e rivolgo i palmi verso l'alto, come se soppesassi le realtà in cui vivo, nella speranza di tenerle separate. Chiara poggia una mano sulla mia guancia e mi gira dolcemente verso il suo viso.
«Un punto fermo potrebbe aiutare...»
Avvicina le labbra alle mie, lasciando solo un misero centimetro a separarle.
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Agata [Completa]
General Fiction[Vincitore Wattys 2017] Alessandro, cinico diciannovenne, incontra una ragazza curiosa che lo spinge a dubitare del suo talento più nascosto: poter controllare i sogni. Sono sicuro che anche tu, che stai leggendo, hai sperimentato un sogno lucido al...