23 luglio, 14:06
Il legno scuro del parquet, su cui io e mia sorella siamo scomodamente seduti, non scricchiola. La porta è aperta, ma non cigola. Le finestre da cui filtra uno spiraglio di luce solare sono spalancate, dunque non rappresenterebbero un ostacolo all'eco del cortile interno; eppure oggi i vicini sono calmi e perfino il vento non raggiunge l'intensità necessaria a smuovere le sottili campane tubolari appese sopra il mio comodino.
Avanti, un tintinnio, uno solo.
La televisione, il computer e il relativo schermo sono collegati alla corrente, tuttavia l'acustica della stanza non permette al loro ronzio statico di raggiungermi; forse le pareti dipinte di bianco stanno indirizzando il suono verso il letto sfatto, al lato opposto della camera.
C'è una calma irreale, semplicemente sbagliata.
Lucrezia, a pochi centimetri dal mio fianco, fissa lo spicchio di cielo limpido appena visibile oltre i palazzi che circondano la nostra casa e si gonfia d'aria il petto. Sono pronto a percepire un fischio al naso, oppure una qualsiasi altra alterazione del respiro, ci spero con tutto me stesso, invece non ne colgo nessuna. La sua maglietta nera si piega e si distende ritmicamente, però non produce sfrigolii di alcun tipo.
Che... fastidio.
Passo l'esistenza inseguendo la calma e lamentandomi di non trovarla mai, mentre oggi, esattamente quando ne farei volentieri a meno, sembra aver imposto il suo completo dominio nella ventina di metri quadrati raggiungibili dai miei sensi, azzerando qualunque onda sonora.
Di solito non ho la pazienza necessaria a gestire il frastuono, infatti quest'ultimo rappresenta un enorme limite alla mia concentrazione; senza silenzio non dormo, in mancanza di quiete non studio. Ho comprato le grosse cuffie Bluetooth proprio perché ho bisogno di isolamento e comodità d'uso, mi importa poco della musica: è una scocciatura di piccola portata, minimamente preferibile alla confusione quotidiana.
Gli auricolari "over-ear" sono un ottimo rimedio al caos.
Ho immaginato centinaia di volte di poter spegnere le orecchie e rimanere nella tranquillità assoluta, ma temo sia impossibile anche per un maestro della meditazione, dopotutto possiamo definirci vivi solo perché percepiamo e reagiamo agli stimoli. Guadagnare d'un tratto l'accesso a una sorta di interruttore capace di estraniarci dal mondo avrebbe conseguenze disastrose.
Esatto, la coscienza implica una cessione di controllo.
Non dimenticherò mai il momento in cui ho realizzato di essere intrappolato in un corpo quasi del tutto autonomo, per il quale io sono soltanto un mezzo di sostentamento. Se perdo una gamba, posso farla ricrescere? Posso correggere la forma allungata dell'occhio e guarire dalla miopia? Posso decidere di non far rimarginare una ferita?
No, anche se è il mio corpo. Mio.
La volontà personale non ha la minima influenza su questi processi "preimpostati", che sono meccanismi utili, certo, però sarebbe di gran lunga più significativo poter bilanciare con cognizione di causa la mia unica vita, Signora delle beffe. Già, beffe, infatti parallelamente alla privazione di arbitrio, la carne raccoglie informazioni emotive dalla mente e le tramuta in sudore freddo, guance arrossate e fitte al ventre, ovvero alterazioni involontarie, spesso addirittura dannose.
L'inferno che ho dentro adesso ne è un esempio perfetto, e credo sia stata la nuova consapevolezza sul mio ruolo marginale all'interno del corpo a rendermi tanto capace di sognare lucidamente, facilitando il distacco dal mondo reale.
Questo è il genere di pensieri nati dal silenzio, ed è per colpa loro che adesso bramo un disturbo, uno qualsiasi, non importa di che tipo. Una goccia instancabile che precipiti dal rubinetto in cucina e tormenti la tensione superficiale di un bicchiere stracolmo? Un cane lasciato solo in casa che guaisca all'uscio, sperando di richiamare l'attenzione? La ventola esterna di un condizionatore che abbia trascorso troppe estati lontana da un tecnico?
Davvero, è indifferente, basta che riesca a togliermi dallo stomaco la bufera. Deve distrarmi, donarmi una scusa a cui mi possa aggrappare per ignorare questo orrore aggrovigliato all'apparato digerente.
«Ti ho odiato, i primi mesi dopo l'incidente».
Lucrezia riesce a distruggere ogni desiderio di turbolenza con nove semplici parole. Mi poggia una mano sul ginocchio e fa leva su di esso per rialzarsi e squadrarmi dall'alto in basso.
«Avevo bisogno di te. Avresti dovuto rassicurarmi, confortarmi, invece eri spento come adesso, non mi rivolgevi mai la parola. Ciondolavi per casa senza degnare nessuno di uno sguardo. Non potevano nemmeno mandarti a scuola, gli attacchi di panico erano ancora troppo frequenti», si schiarisce la voce e prosegue, «Sai, non ho mai ricordato quel pomeriggio di marzo, però credevo che se fossi riuscita a far emergere qualcosa, avrei meritato anche io le stesse attenzioni rivolte a te. Forse ti avrei capito e avremmo potuto consolarci a vicenda».
Come se fosse dotato di carica magnetica, il ciuffo bianco di Lulu diventa l'unica zona a fuoco nel mio campo visivo e d'istinto affondo le dita nel cespuglio biondastro che ho sopra la testa, torturando qualche boccolo. Il cervello, riattivato dal movimento della cute, mi propone alcuni ricordi di tre anni fa, caratterizzati da una routine ancora più monotona e ripetitiva di quella attuale. Settimane interminabili nelle quali mi alzavo dal letto solo per trascrivere un paio di sogni "classici" sul diario, ricordandoli a stento e lagnandomi di quanto sembrasse inutile quel rituale. Forse qualche volta studiacchiavo, magari scarabocchiavo qualche fumetto dalla trama incerta, però l'obiettivo ultimo era ingannare il tempo, in attesa della notte. Quello, ed evitare ogni contatto umano superfluo, mia sorella compresa.
Durante le sedute obbligatorie, lo psicologo aveva cercato di capire cosa mi privasse della spinta a tornare in classe. Non erano le verifiche a spaventarmi, nemmeno le interrogazioni a sorpresa, bensì il giudizio degli altri, la paura di venire classificato come un assassino ed essere trattato di conseguenza. Il rientro veniva costantemente rimandato, e nel giro di due mesi i primi sogni lucidi mi avevano tolto tutta la voglia di respirare aria fresca. Come se non bastasse, la totale sedentarietà aveva distrutto il mio portamento fiero, involuto nell'ormai abitudinario passo trascinato.
«Su, resta con me». Uno schiocco di dita mi catapulta di nuovo nel presente. Mia sorella mi porge la mano e fa un cenno con la testa, invitandomi ad accettare l'aiuto. «Continuiamo il discorso a tavola. Ma che dico, "Discorso"», ripete il gesto delle virgolette alte, «Sto parlando solo io».
Uso la manica del braccio libero per coprire un altro colpo di tosse e finalmente muovo la lingua, introducendo un cambio di argomento da manuale: «Quando tornano mamma e Giacomo? O anche papà, insomma, qualcuno che abbia fantasia ai fornelli.» concludo, lasciandomi trascinare fuori dal Regno.
«Certo, Ale, continua a schivare tutto quello che ti dico, vediamo dove ci porta. Mamma torna dopodomani, invece papà resterà in Inghilterra fino a sabato prossimo». Si incupisce e lascia le mie dita, dirigendosi di sotto. Affronta la scala a chiocciola con sicurezza, mentre io faccio un passo alla volta, respirando profondamente e concentrandomi sulla sensazione di stabilità trasmessa dal corrimano. La pancia si contorce uno scalino dopo l'altro, però una volta poggiati i piedi sulle mattonelle bianche del pavimento mi accorgo che la rampa si è rivelata un ostacolo meno pesante di quanto temessi.
Devo delle scuse a Lucrezia, ma adesso non riesco ad affrontare anche i suoi problemi.
«Lu, io...»
«Non ho più fame. Contatta Chiara, almeno con lei parli». Svolta in camera sua e sbatte la porta dietro di sé.
Un altro crampo.
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Agata [Completa]
Ficção Geral[Vincitore Wattys 2017] Alessandro, cinico diciannovenne, incontra una ragazza curiosa che lo spinge a dubitare del suo talento più nascosto: poter controllare i sogni. Sono sicuro che anche tu, che stai leggendo, hai sperimentato un sogno lucido al...