Capitolo 25: Eoghan

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Lo chiamarono Eoghan Trevelyan, così come Ivar aveva già da tempo deciso. Era un bambino sano, con pochi peli biondi sul capo calvo, aveva un pianto forte, inarrestabile che scuoteva a qualsiasi ora del giorno la tranquilla serenità del palazzo reale. Ivar era fiero di quel figlio sano, re Meliodas era rinfrancato dal sentire finalmente un pianto di neonato tra quelle mura che da tempo erano prive della presenza di un bambino, mentre Catrina sprofondava sempre più nella sua autocommiserazione.

Tristan era di nuovo per lei un marito in ogni senso. Visitava le sue stanze notte dopo notte, svolgeva il suo dovere, se non con gentilezza, almeno con rispetto. Non rimaneva più a dormire con lei come una volta, abbracciato al suo corpo scheletrico, ma le lasciava un freddo bacio sulla fronte e correva nel suo letto già riscaldato dal corpo formoso della sua amante. Catrina covava un odio profondo per quella donna, chiunque lei fosse, o chiunque loro fossero, ma il suo orgoglio era ormai sceso in secondo piano. Doveva rimanere incinta a qualunque costo. In quei mesi aveva tentato di tornare alle sue condizioni di una volta, aveva ricominciato a mangiare, aveva ricominciato a curarsi ma il ciclo non tornava e lei continuava a non aspettare nessun bambino.

Eirlys invece aveva partorito un maschio. Catrina aveva assistito al parto. Aveva visto Eirlys urlare di dolore, aveva visto il bambino scivolare giù dalle sue gambe e quando lei si era rifiutata di prenderlo tra le braccia, Catrina lo aveva accolto al suo posto.

Eoghan era un bambino perfetto. Guance paffute, manine piccole e vellutate, un pianto energico, era l'immagine stessa della vita e della forza. Catrina lo aveva stretto fra le braccia nel giorno della sua nascita, ripensando al suo piccolo e povero Angus. Lo aveva cullato mentre piangeva, lo aveva ripulito dal sangue e dalla sporcizia, lo aveva avvolto in un panno ricamato e lo aveva teneramente stretto al petto. Era stata la sua madrina il giorno del battesimo, insieme a suo marito, e probabilmente lo avrebbe ricordato come uno dei giorni più felici di tutta la sua vita. Era gelosa di Eirlys, era gelosa del suo bambino, ma non poteva non amarlo con tutto il suo cuore.

Eirlys non riusciva ancora a capire che cosa provasse per quel piccolo scricciolo che aveva partorito. Quando lo aveva sentito piangere, lì in ginocchio in una pozza di sangue, aveva per un momento dimenticato tutto il dolore, aveva dimenticato chi fosse e cosa rappresentasse per lei quel bambino. Aveva dimenticato Ivar, aveva dimenticato Lyonesse e aveva dimenticato sua madre. Si era slanciata verso di lui, con l'unico prepotente desiderio di stringerlo fra le braccia, ma poi lo aveva visto: quel visino incantevole, gli occhi grandi, i ciuffetti biondi. Aveva colto gli sguardi di tutti i presenti, la loro gioia per la nascita di un figlio maschio, e si era sentita morire dentro. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo al petto e dire a tutti "Lui è mio! Non potrete portarmelo via". Ma poi si era ricordata che quello scricciolo non le apparteneva. Era figlio di Ivar, il marito che non avrebbe mai voluto sposare, nipote di re Meliodas, l'usurpatore del trono di suo padre, era una creatura che non sarebbe mai dovuta venire al mondo e lei non poteva amarlo. Così aveva distolto lo sguardo e, cercando di trattenere le lacrime, lo aveva lasciato piangere, lo aveva abbandonato a sé stesso.

Poi erano arrivati gli incubi. Sognava sua madre, sognava i terribili anni di reclusione a Scilly, riviveva il dolore lancinante del parto, la vergogna dei rapporti con suo marito Ivar. Si svegliava in lacrime, tremando nonostante la camicia sudata.

La prima volta si era solamente alzata, aveva camminato fino alla stanza buia del suo bambino e aveva ascoltato il suo respiro regolare. Era rimasta lì in piedi, scalza sul pavimento freddo, fin quando l'aria si era schiarita e la balia non si era alzata per far mangiare suo figlio. A quel punto, come un fantasma, era fuggita via.

La seconda volta era la notte di un temporale. Si era svegliata con il rimbombo del tuono nelle orecchie ed era corsa fino alla stanza di suo figlio. Lo aveva trovato in lacrime, spaventato dal rumore catastrofico, in braccio alla balia che tentava di tranquillizzare il suo pianto disperato. Era rimasta qualche momento sull'uscio, sempre scalza, mentre la donna si protendeva in una piccola riverenza e continuava a cullare quel bambino inconsolabile.

La dama rossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora