Capitolo 33: Angus, bambino mio

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A Catrina sembrò di risvegliarsi da un incubo. Un secondo prima le sue mani erano strette intorno al collo di Eirlys, un secondo dopo era in ginocchio, il viso e le braccia insanguinate, e due guardie la tenevano bloccata.

Le sembrò di tornare a respirare, e quasi le bruciò la gola quell'aria fredda. Venti paia d'occhi la fissavano sgomenti, borbottavano fra loro, mentre il suo petto prese ad ansimare, il suo cuore a palpitare, e l'intero corpo a tremare.

<< Principessa!>>

Quella voce, la voce di una delle guardie, la frastornò. Catrina non capiva ancora nulla, come se non fosse stata lei a tentare di strangolare la principessa Eirlys. Aveva poche immagini nella mente, frammentari ricordi che si sovrapponevano a tutte quelle scene di dolore che avevano costellato l'ultimo tragico anno della sua vita. Si era ricordata accovacciata sulla sedia del parto, col suo bimbo morto fra le braccia, e tutto il dolore che aveva sopportato le aveva dato la forza di stringere la presa attorno al collo di quella ragazza.

Urlò, comprendendo finalmente la gravità dell'atto che era stata sul punto di compiere. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Urlò come non aveva mai fatto prima d'allora. Cercò di divincolarsi, di fuggire via, ma la presa di quelle maledette guardie era troppo forte.

<< Lasciatemi!>> piagnucolò. << Lasciatemi!>>

Qualcuno le prese il viso fra le mani, qualcuno la costrinse ad alzare lo sguardo, e Catrina si ritrovò a fissare il viso preoccupato di Ivar. Smise di urlare, smise di dimenarsi, e crollò in un pianto disperato sul petto di quell'uomo buono, l'unico che avesse mai tentato di difenderla in quell'anno di tragedia.

<< Catrina... >> Ivar le sussurrò all'orecchio, le accarezzò quei capelli biondi privi di luce, ordinò finalmente alle guardie di lasciarla andare.

Era duro il petto di quel soldato, ruvide le sue mani callose, caldo il suo tocco delicato. Catrina non si era mai sentita al sicuro, non si era mai sentita consolata e nel contempo così perdutamente disperata. Avrebbe voluto un marito come lui, così buono e premuroso, qualcuno che avesse potuto davvero amarla e renderla una donna felice.

<< Rut ...>> piagnucolò ed il ricordo delle parole velenose di Eirlys le tornò in mente.

Alzò di scatto la testa, gli occhi vacui e ricolmi di lacrime, e vide la sua vittima ancora accovacciata sul pavimento, pallida e con i segni del loro litigio ben evidenti sul collo e sul viso. Si staccò da Ivar, lasciandolo sgomento, e si girò ad osservare tutti gli astanti che continuavano a borbottare tra loro.

<< Lei è un demonio!>> borbottò, indicando la giovane riversa sul pavimento. << Una vipera piena di veleno!>>

Si stupì delle sue parole, si stupì di quel tono ricolmo di cattiveria. Si rivide negli occhi di Ivar, nel suo sguardo preoccupato, nel suo corpo che indietreggiava passo dopo passo. Che stava facendo? Aveva quasi ucciso una donna. Ma, nonostante lo sconvolgimento, il dolore per quella rivelazione le bruciava entro.

<< Catrina dovreste calmarvi ...>>

Ivar si fece di nuovo avanti, tentò di prenderle le mani, ma lei lo allontanò con un gesto stizzito. Le lacrime continuavano a inzupparle le guance, i singhiozzi le scuotevano il petto e tutta quella folla continuava a fissarla con sgomento.

<< Non lo vedete?>> guaì. << Lei è una vipera Ivar! Lei ...>> tossì, quasi si soffocò con le sue stesse lacrime. << Lei vuole mio marito ed inventa delle sporche bugie pur di accaparrarselo...>>

Ivar sembrò cambiare espressione a quelle parole, il suo viso si storse in una smorfia di fastidio.

<< Non dite sciocchezze ...>> provò a tranquillizzarla.

Catrina lo spinse via. Non le credeva, nessuno le avrebbe mai creduto. Sgusciò via, agile e magra, e corse a perdifiato nel corridoio sempre più affollato.

Ora finalmente pensava lucidamente, come mai aveva fatto prima d'allora. Quella donna era stata per lei una sciagura, fin dal suo primo giorno in quel palazzo. Aveva perso un figlio, un marito, la sua posizione e la sua reputazione. Di Catrina di Scozia era rimasto un cumulo di ossa, dei capelli sbiaditi e una giovinezza che non sarebbe mai più tornata. Pianse ancora più forte, accasciandosi contro le mura di quei corridoi inospitali, mentre servi e cortigiani la fissavano sgomenti. Ma forse Eirlys non centrava nulla. Forse era tutto una coincidenza. Poteva essere il volere di Dio la morte di suo figlio, i continui tradimenti di suo marito. Probabilmente si era macchiata di colpe talmente gravi da non meritare alcuna felicità.

Uscì all'aperto, sulle mura del castello, la città che si estendeva ai piedi di quella struttura colossale mentre il mare in lontananza rumoreggiava. La pioggia cadeva placida, il freddo penetrava nelle ossa. Catrina ricordò il suo arrivo a Carlyon, il porto ricolmo di gente, la famiglia reale in attesa di accoglierla. Sembravano passati anni, le sembrava di essere una vecchia adesso mentre all'epoca si era sentita così giovane e potente. Ricordò il momento in cui aveva posato i piedi sulla banchina, la scossa di adrenalina che l'aveva attraversata, l'attrazione subito provata nei confronti del suo futuro marito. Aveva riso, ballato, chiacchierato con lui nelle serate successive. Tristan era stato affascinante, divertente, un principe sotto qualsiasi aspetto. Poi si erano sposati e Catrina ricordava ogni singolo momento della cerimonia. Si erano ritrovati soli e si erano baciati, lui l'aveva spogliata, l'aveva amata, l'aveva fatta sentire per la prima volta una donna.

Catrina si arrampicò sulle mura, il busto completamente proteso verso il vuoto, e volse lo sguardo giù sul suolo esterno al palazzo reale. Si chiese che rumore avrebbe mai potuto fare il suo corpo che si schiantava da quell'altezza. Lo aveva il coraggio? Buttarsi dalle mura di quel palazzo e porre fine a quell'agonia? Fece oscillare il busto, il suo corpo si protese pericolosamente verso quel suolo che sembrava tanto lontano, e i capelli bagnati ondeggiarono nell'aria fredda.

"Angus" pensò. "Il mio piccolo angelo". Ogni tanto lo aveva immaginato tra le sue braccia, aveva sognato di cullarlo e di sentirne l'odore di bambino. Talvolta, nella solitudine della sua stanza, le era anche parso di sentire il pianto di un bambino, del suo bambino, del suo Angus, e aveva pensato di non riuscire a vivere con quel dolore.

Nemmeno ora, lì in piedi ciondolante sull'orlo di un precipizio, poteva tollerare di continuare a vivere senza di lui.

<< Angus!>> urlò e si issò con tutta la sua forza sulle pietre bianche del palazzo.

Era in piedi ora, ciondolante, bagnata, sull'orlo di un precipizio che sembrava chiamarla. Mosse un piede nel vuoto e chiuse gli occhi.

La dama rossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora