Capitolo 11: Un nuovo giocatore

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Eirlys riprese a respirare dopo un lasso di tempo che le parve infinito.

Stringeva ancora fra le mani il brandello di stoffa, così come il messaggio vergato con quella calligrafia tremolante ed insicura. Stringeva quegli oggetti con una tale forza che le sue nocche sbiancavano sempre più nello sforzo.

Aveva voglia di urlare. Desiderava spalancare la bocca ed esprimere tutta la sua rabbia, la sua frustrazione e il suo odio urlando a squarciagola. Avrebbe provato un grande piacere a far tremare le mura di quella stanza al suono delle sue grida. Proprio come faceva sua madre.

Quando chiudeva gli occhi riusciva ancora ad udire la voce gracchiante e stridula di Caitlin di Cornovaglia. Riusciva a sentire sulla pelle il modo in cui le fredde pareti di Scilly tremavano mentre lei scaraventava fuori dal suo corpo tutta la sua folle rabbia. Ma non poteva urlare. Avrebbe attirato di nuovo Ivar nella stanza e suo marito non poteva trovarla con in mano un pezzo strappato del suo vestito ed un messaggio intimidatorio di uno sconosciuto.

Così, invece di urlare, strappò quella pergamena in mille piccoli pezzettini, sbavandone l'inchiostro scadente, e allo stesso modo disintegrò lo stralcio di vestito lacero gettando ogni rimasuglio nel fuoco del caminetto. Li guardò bruciare, mentre la furia le artigliava il petto, e continuò a camminare avanti ed indietro nei pochi metri quadri di quella camera.

Doveva pensare, ragionare, escogitare una via d'uscita. Chi poteva averla vista? Pensava di essere sola in quel giardino, aveva creduto fermamente che nessuno l'avesse seguita quando si era inoltrata lungo i sentieri.

Si fermò, colpita da un'evidenza tanto lampante quanto colma di orrore. Quando aveva raccolto l'orecchino da terra aveva udito un flebile rumore di ramo spezzato. Ma non aveva udito passi rincorrerla alle sue spalle, non aveva riconosciuto nemmeno il respiro di un uomo. C'era solo lei su quel sentiero. Lei, il principe Tristan, Rut Mcclean e ... Eirlys si immobilizzò al centro della camera.

Il giullare! Quel piccolo, viscido topo cencioso. Lei lo stava inseguendo, rincorreva quel suo stridulo scampanellare, quando si era ritrovata sullo stesso sentiero del principe e della sua amante. Che fosse lui ad averle lasciato quel messaggio?

Eirlys si disse che nulla era impossibile. Forse il suo intento era quello di farla sentire in pericolo, farle credere di essere braccata su più fronti come una povera vittima in fuga. Ma Eirlys non si sentiva la vittima della situazione, non più. Era giunto davvero il momento di ritrovare quell'orripilante creatura e di porre fine alla faccenda.

Tastò lo stiletto, sempre immancabilmente infilato sotto le sue vesti, e tentò di tranquillizzare il suo animo battagliero per ragionare sul da farsi.

Per prima cosa doveva uscire da quella stanza. Fissò la porta e concluse che era fin troppo pesante per essere in qualche modo scalfita dal suo corpo minuto e la finestra era troppo piccola per poter essere utilizzata come via di fuga. L'unica alternativa rimaneva trovare un'uscita secondaria nascosta in qualche angolo della camera.

Cominciò a cercare. Tastò i muri al di sotto degli arazzi, smosse le cassapanche e il tavolino. Si piegò per scrutare il pavimento al di sotto del grosso letto ma non trovò alcunché. Sembrava proprio non ci fosse altra via per uscire da quella maledetta stanza.

Stremata e sudata, si accosciò sul pavimento, nell'angolo più distante dalle fiamme del caminetto, e poggiò la schiena contro la parete ricoperta dall'arazzo. Nella sua mente si susseguirono rapidi i ricordi di quelle poche ore precedenti. Rammentò lo spazio angusto e odoroso della locanda del cervo rosso, la voce fredda di Ivar mentre la condannava ancora una volta ad una prigionia perpetua, il suo sguardo colmo di furia di fronte al disprezzo che lei non riusciva in alcun modo a celare. E poi ancora una volta si ricordò di essere lì, seduta su quel pavimento, rinchiusa in una stanza come un animale in gabbia. Ancora una volta, come se il suo unico futuro fosse continuare a vivere all'interno di quattro mura. Da sola.

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