Capitolo nove

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Una settimana dopo, Lauren venne chiamata d'urgenza da Alejandro.

Stava servendo un cliente (occasione più unica che rara, dato che non ci sapeva fare molto in quanto ad interazione sociale) quando Normani le passò la cornetta del telefono, sussurrandole che il suo avvocato era in linea.

Sembrava abbastanza agitato il che era strano, dal momento che da quando conosceva Alejandro non l'aveva visto scomporsi nemmeno per un istante. Aveva sempre quell'aria imperscrutabile, il sorriso sornione e i modi compassati di chi, però, non fa alcuno sforzo ad arginare le proprie emozioni.

Un po' lo invidiava. Lui sembrava a suo agio con i suoi sentimenti, qualunque essi fossero, pareva che fosse capace di manipolarli a suo piacimento... Lauren, invece, era sempre trapassata da una cieca rabbia, o da una sorda nostalgia. Quelle erano le sensazioni prevalenti e predominati, quelle che non riusciva a usurpare.

Chissà quanti assistiti avevano minacciato Alejandro, quanti lo avevano insultato o bistrattato e lui era sempre rimasto impassibile, pacato, quasi compiaciuto. Lauren, dal canto suo, avrebbe rovesciato la scrivania e li avrebbe zittiti con un pugno ben assestato. No, l'avvocato non era il lavoro confacente ai suoi incorreggibili impulsi.

Comunque, la telefonata durò poco più di due minuti, ma quella nota stonata nella voce di Alejandro preoccupò Lauren che chiese il permesso a Vincent di uscire prima da lavoro per via di un'emergenza.

Quando arrivò allo studio puntò diritta verso l'ufficio di Alejandro, senza essere interrotta dalle segreterie che ormai avevano imparato ad ammutolirsi quando passava la corvina; prediche e avvisi erano del tutto inutili, e nessuna delle due aveva l'ardire di guadagnarsi quell'occhiata fiammeggiante che faceva accapponare la pelle.

Spalancò la porta, pensando di trovare Alejandro da solo, come sempre, ma invece Camila era seduta su una delle due sedie che solitamente occupava Lauren.

La corvina roteò gli occhi al cielo, ed anche Camila sbuffò irritata dalla sola presenza della ragazza.

Alejandro le fece cenno di prendere posto, e Lauren non oppose resistenza, ma spostò intenzionalmente la sedia qualche centimetro più in là per interporre una distanza adeguata che non arrischiasse nessun contatto involontario con Camila.

«Bene, ora che siete entrambe qui, possiamo iniziare.» Annunciò Alejandro, controllando l'orologio da polso con una certa fretta.

Accomodò la manica della camicia sopra l'aggeggio per nascondere l'ora, forse era un modo per dimenticarsi che le lancette correvano e che il suo evidente ritardo poteva essere giustificato.

«Mi ha chiamato Reina, te la ricordi Camila? Bene. Suo marito è nei guai con la guardia di finanza e hanno bisogno di un avvocato, al più presto.» Dispose Alejandro, sintetizzando come meglio poteva e tralasciando dettagli che invece Camila avrebbe ascoltato volontari, dato che il figlio di Reina, Austin, era stato un suo grande amico ai tempi del liceo.

«Devo partire subito per la Svizzera. Ho un aereo fra tre ore.» Aprì un cassetto usufruendo di una chiave che tutelava nel taschino della giacca beige «Qui c'è tutto il fascicolo per quanto riguarda la causa di Lauren.» Una cartella visibilmente ingrossata rispetto alla prima volta che la corvina l'aveva vista, venne poggiata sulla scrivania con un sordo rumore che stimava il risma ingente.

«Devo portarlo a Erik?» Domandò Camila, corrugando la fronte confusa.

Suo padre scosse la testa «Voglio che te ne occupi tu, almeno fino al mio rientro.»

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