Capitolo cinquantacinque

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Sono talmente contenta di come stia andando la storia, che sto diventando troppo buona... Ma, non gioite troppo presto...  🙊 Buona lettura :)

«Dodici ore di volo.» Inspirò profondamente Ally, armandosi di pazienza e ingollando il sorso di caffè che le restava nel bicchiere.

«Cavolo, io non ce la farei.» Ammise Dinah, sollevando le sopracciglia e sbarrando gli occhi. Le pupille di dilatarono al solo pensiero.

«Beh, per lavoro questo e altro.» Replicò vagamente vanitosa Ally, la quale aveva giurato amore eterno alla legge, di fronte ad un giudice tanto severo quale la giustizia.

«Devo scappare in ufficio.» Asserì Camila, alzandosi sbrigativamente dalla sedia, con il bicchiere del caffè ancora saldamente impugnato «Torna a trovarci presto, ok?» Sorrise la cubana, aprendo le braccia come chiaro invito ad Ally.

Quest'ultima accettò piacevolmente, si strinse nell'abbraccio dell'amica e le stampò anche un bacio sulla guancia, dicendole che forse la perdonava per il due di picche a Matthew. Camila arrossì a vista d'occhio, rammentando il determinante momento in cui aveva respinto il ragazzo e si era finalmente dichiarata con se stessa.

Camila smorzò l'espressione tesa con un'ironica rotazione delle pupille, che scaturì una risatina spiritosa da parte della bionda.

La cubana si fece da parte per permettere a Dinah di congedarsi adeguatamente, ma la polinesiana le disse di avviarsi nel frattempo, perché la sua agenda era inopinatamente spoglia e poteva concedersi la mattina libera prima che Ally partisse per la Cina.

Camila annuì e salutò solo un'ultima volta le due. Si addentrò nella caotica ressa, procedendo a passo rallentato a causa della fiumana di persone che l'attorniava.

Riuscì a sgusciare con un balzo elastico e provvidenziale all'interno dell'ascensore, suscitando l'irritazione degli astanti che covavano un certo nervosismo nei confronti di coloro che riaprivano le porte all'ultimo secondo. Camila si scusò con un sorriso accennato, poi diede le spalle ai musi lunghi e fissò la freccia che sdrucciolava silenziosamente attraverso i numeri che contrassegnavano i piani.

«Buongiorno.»

Una voce roca alla sue spalle la distrasse dal suo torpore quasi ipnotico. Camila si voltò verso la fonte trovando Lauren al suo fianco.

«Che ci fai tu qui?» Rispose acerba, ma nonostante la sua severità si percepiva che fosse un temperamento ingiunto da qualche volontario meccanismo difensivo.

«Dovevo vedere tuo padre per qualche clausola del cazzo sulle pratiche...» Sbuffò con antipatia la corvina, scaturendo la reattività di Camila che si guardò attorno per esaminare le espressioni indignate dei presenti «Ma dato che ho saputo che il fascicolo lo detieni tu in ostaggio, penso che mi fermerò direttamente da te in ufficio. Tanto per te va bene, no?» Le porte si aprirono, Lauren inforcò gli occhiali e varcò la soglia, avviandosi di sua arbitraria stregua verso l'ufficio della cubana.

«Accomodati pure.» Mormorò Camila, troppo lontana per essere udita.

Roteò gli occhi al cielo e seguì i passi di Lauren, contraria o favorevole che fosse ormai la corvina aveva imboccato la sua strada.

Lauren prese posto davanti alla scrivania, ebbe anche l'accortezza di sfilarsi gli occhiali, ma forse fu una mossa calcolata perché prese a mordicchiare la montatura in modo del tutto disinteressato, ma si capisce bene che trattandosi di Lauren Jauregui, qualsiasi gesto appariva malizioso.

Camila si sedette sulla sua poltrona, artigliò il fascicolo e lo portò all'attenzione della presente, ma in quel momento la corvina poggiò una mano sopra la copertina smerigliata e fissò la cubana dritta negli occhi.

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