Capitolo ventisette

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Lauren si accorse subito dell'agitazione trepidante che si respirava in ufficio.

Le segretarie confabulavano sottovoce, producendo un brusio starnazzante che aveva infastidito la corvina per tutta la mattina. Alcuni avvocati, facce sconosciute che Lauren non aveva mai intravisto, si erano stranamente riuniti alla macchinetta del caffè, sacrificando anche qualche spicciolo per restare indisturbati a parlottare fra di loro.

Anche Alejandro, che di regola restava trincerato nel suo ufficio dalla mattina alla sera, quel giorno camminava impettito nel corridoio, con le mani legate dietro la schiena e il capo chino segnato da un cipiglio.

Lauren non se ne curò, e si alienò dalla balzana situazione con l'ausilio degli auricolari e la sua amata musica. Quando le melodie risuonavano nelle sue orecchie non c'era niente attorno a lei che la distraesse dai suoi pensieri, ma quel giorno venne abolito tale assioma, perché alzò irrimediabilmente lo sguardo quando un'essenza familiare le sfuggì al suo fianco.

La cubana camminava svelta, inseguita da tutti gli altri sguardi, e pedinata da suo padre che la stava esasperando con un'interrogatorio. Lauren si accigliò, chiaramente confusa dal comportamento insolito.

«Hai saputo?» Trina, una ragazza che occasionalmente l'aiutava con le pulizie, l'accostò civettuola e per una volta la corvina non disprezzò quell'attitudine che abitudinariamente aborriva.

Scosse la testa e rivolse lo sguardo verso di lei, aspettando risposte.

Trina sorrise maliziosa «Oggi Camila terrà il suo primo processo.»

Lauren corrugò la fronte, perplessa «Pensavo che fosse già stata in aula.» Soggiunse. Facendo un rapido calcolo matematico, Camila era impiegata nell'azienda da circa cinque anni Com'era possibile che non avesse ancora intrattenuto un processo?

«Si, ma era in sostituzione di suo padre. Praticamente il caso era già stato scritto da Alejandro, doveva soltanto leggere. Questa volta è diverso, è un suo cliente e ha fatto tutto da sola.» Espose dettagliatamente Trina, con tono pettegolo.

Lauren emise un suono monocorde, fece mulinare lo straccio logoro che brandiva in mano e un sorriso malandrino affiorò sulle sue labbra.

«È un processo a porte aperte?» Domandò, fingendo disinteresse.

«Si, perché?» Replicò incuriosita Trina, che al contrario della corvina non era capace di dissimulare le sue emozioni.

Lauren la guardò per un solo attimo, scrollò le spalle e poi tornò ad assolvere le sue mansioni, lasciando Trina a macerare nel dubbio.

Per tutta la mattina Dinah non fece altro che peregrinare dal suo ufficio a quello di Camila, sempre con un'espressione cupa intagliata sul volto. Sembrava preoccupata, ma anche una sfarfallante ombra rabbiosa sfumava il suo sguardo rabbuiato.

Lauren ipotizzò che fosse a causa di una causa che stava dipanando e che le stava arrecando più di qualche grattacapo, ma le sue supposizioni caddero quando udì la voce altera di Dinah imprecare contro Siope.

Evidentemente Camila non aveva tempo da dedicare all'amica che liquidava ogni poco, fin quando uscirono entrambe dall'ufficio e si diressero verso l'ascensore, osservate con tangibile interesse dagli sguardi rapaci dei dipendenti.

La cubana annuiva solamente, con aria assente, mentre la polinesiana le narrava le vicissitudini intercorse fra lei e il ragazzo.

Lauren le guardò con aria proterva, appoggiata contro il manico della scopa e il sorriso perverso di chi sta per compiere un atto malsano. Camila si sforzò con tutte le sue forze di non reciprocare l'occhiata infantile che le sentiva bruciarle la schiena, ma prima che le porte dell'ascensore si chiudessero, non resistette alla tentazione di alzare lo sguardo e intercettò quello della corvina, ancora fisso su di lei.

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