Capitolo ventitré

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Lauren aveva gli occhi pesti, l'incarnato del volto scialbo. Anche trasportare il secchio con l'acqua a giro per i corridoi era una gran fatica.

Dopo la notte movimentata con le bizze di Camila, era tornata a casa alle tre e mezzo del mattino circa, e dopo solo due ore era suonata la fatidica sveglia, che l'aveva disarcionata dal letto con il trillo dispotico. A niente era servito il caffè, anche se ne aveva già ingurgitati cinque, l'effetto non accennava ad agire.

Non aveva neanche la forza di mettere le cuffie nelle orecchie, perché paventava che la voce suadente di qualche cantante le conciliasse il sonno, e addormentarsi sul posto di lavoro non rientrava nei suoi propositi.

Cercò di concentrarsi su altro per ammortizzare l'incombente stanchezza. Elencò i nomi delle strade, da casa sua all'azienda e poi viceversa, ma era come contare le pecore, perciò si dedicò ad altro. I nomi delle birre, da quelle che le piaceva di più alla meno gradita, ma le insorse una sfrenata voglia di alcol, e anche questa tecnica venne depennata.
Allora tentò l'ultimo metodo... Le tabelline. I numeri tenevano sveglia la mente e aveva bisogno di un ripasso matematico.

Lavò il pavimento con il detersivo al limone, un prodotto chimico che lei detestava, ma che piaceva tanto ad Alejandro. Dopo che ebbe sistemato gli uffici sull'ala sinistra, pensò a quello di Camila. Intanto era arrivata alla tabellina dell'otto, una di quelle che le restava più complessa.

Aprì la porta -con il labbro catturato fra i denti e un mugolio infastidito perché non ricordava il risultato di 8x7- e trasecolò. Camila era seduta alla sua scrivania, ma non stava dormendo.. Era vigile, anche se il suo sguardo vacuo ed assente dava l'impressione che non lo fosse affatto. 

Impugnava una busta gialla fra le mani, con i pollici vessava gli angoli della carta. Pareva fossilizzata; l'unica parte del corpo in possesso della cinetica erano le labbra, increspate da un caduco fremito.

Lauren si schiarì la voce per annunciare la sua presenza, sentendosi un'intrusa nell'algido attimo meditabondo della cubana. Camila sollevò lo sguardo solo per un secondo, per poi riportarlo sull'etichetta.

«Chiudi la porta.» Anche la sua voce sembrava provenire dall'oltretomba, tanto era sepolcrale e atona.

Lauren, miracolosamente, obbedì. Appena la stanza tornò ad essere immersa nell'asetticità statica delle quattro mura, Camila gonfiò il petto con un respiro profondo e indicò a Lauren la sedia con il dito indice, senza però lasciare la presa sulla busta.

La corvina tentennò, poi accondiscese nolente al volere della cubana e si stravaccò sulla poltroncina. Camila depose la carta gialla davanti ai suoi occhi, spingendola verso di lei con movimento incerto e tremulo, speculare al suo respiro.

Lauren distaccò le scapole dallo schienale, e strizzò appena gli occhi per mettere a fuoco la scrittura piccola che campeggiava sul frontespizio.

«Cabello..» Iniziò sommessamente, scandendo però con chiarezze le parole «Sinu.» Storpiò le labbra, scuotendo flebilmente la testa, esponendo la sua perplessità.

«È..» Deglutì «Era mia madre.» Concluse, inspirando con forza per compensare lo squilibrio di ossigeno che difettava i suoi polmoni.

Lauren schiuse la labbra in un'espressione stupita, poi annuì lentamente e con fare solenne.

Camila era stata a ritirare gli oggetti di sua madre, ed anche se quella busta non era più grande di una pagina di quaderno, custodiva il peso più oneroso della vita della cubana. Già non è facile fronteggiare il passato, figuriamoci se qualcuno lo impacchetta e te lo consegna.

Il silenzio regnava nella stanza, nessuna delle due sapeva bene cosa dire o fare. Era una situazione imbarazzante, non solo perché Lauren era piombata nel suo ufficio in un momento inopportuno ritrovandosi nel mezzo di una sciarada, ma anche perché Camila, in cuor suo, era rasserenata che ci fosse qualcuno con lei, anche se a a darle manforte era la persona più estranea fra le sue conoscenze.
Ma forse poteva sfruttare quel dettaglio a suo favore, prenderlo come un vantaggio. A volte gli sconosciuti sono l'entità perfetta per alleggerirci di un peso.

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