Capitolo diciotto

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«Non solo mi tocca sopportare questa cena, devo anche tollerare la presenza di quella.» Recriminò Camila, sbuffando.

Con la spalla e la guancia sosteneva il telefono, mentre era impegnata a scegliere il vestito adeguato. Dinah le aveva descritto il locale come un posto alla mano, per niente pretenzioso, ma i commensali abitudinari si presentavano tutti in camicia e cravatta oppure abito da sera, perché dopo la consumazione la pista si colmava e le persone si scatenavano fino alla mattina.

«Non frignare, sennò cola il mascara.» Celiò la polinesiana dall'altro lato del telefono, alzando un po' il volume del tono perché parlava con il viva voce, essendo impegnata a smaltare le unghie dei piedi.

«Non la sopporto, davvero. Non mi ha neanche voluto insegnare come tirare un cazzotto. Cristo santo, non ho tempo per frequentare dei corsi regolari.» La voce di Camila era chiaramente alterata, covava un certo risentimento per il modo perentorio con il quale Lauren aveva liquidato la sua richiesta, mentre lei aveva scioccamente esaudito la sua.

«Mila, ci saranno come minimo trenta persone. Non sei obbligata a parlare con Lauren, probabilmente nemmeno la vedrai.» La rassicurò enfatica, soffiando sulla tinteggiatura per farla rapprendere.

Camila stava rimirando il vestito nero, a tubino, quello che non indossava mai in ufficio perché era un po' troppo seducente per l'ambiente lavorativo e, a pensarci bene, non l'aveva proprio mai usato. Non era volgare, ma era a conoscenza delle proporzioni del suo corpo e riconosceva la prominenza del suo di dietro che stretto in quell'abito sarebbe stato a dire poco eccentrico. Però, per una volta, voleva azzardare, giocare un po' con la fantasia erotica degli astanti, mettersi in mostra... Era naturale che una donna provasse tale desiderio prima o poi, no?

«Hai ragione.» Conciliò Camila, scalciando le pantofole in un angolo e iniziando a togliersi i pantaloni della tuta che usufruiva in casa «Ma si, ma che me ne importa!» Sbuffò presuntuosa, accennando ad un sorriso rincuorato.

Dinah aveva completamente ragione. Ci sarebbero state persone, in più il locale non ospitava solamente il loro consorzio, ma sarebbe stato aperto anche al pubblico e quindi la ridda pullulante sarebbe stata ancora più numerosa... Le probabilità di imbattersi in Lauren erano praticamente nulle.

Non era la tradizionale cena dove tutti si siedono a sedere, ordinano le loro comande e si mettono a discutere con il vicino ingannando l'attesa, allettati dai piatti prelibati che pilota il cameriere. Era una specie di pub che solo per quella sera offriva un buffet, in piedi, per celebrare cinque anni di apertura. Dinah aveva scovato online, fortuitamente, l'annuncio del proprietario e aveva pensato bene che "risparmiare" e "mangiare" fossero due verbi che riproponevano un'opportunità imperdibile.

Insomma, ci sarebbe stata musica, movimento e le luci soffuse avrebbero garantito una copertura perfetta. Niente di cui preoccuparsi, quella sera non avrebbe avuto nessuna rogna.

Suo padre la salutò con un bacio sulla guancia, augurandole di divertirsi, ma di ricordare che tutto aveva un limite. Ormai era la solita predica da quando aveva quindici anni ed era uscita la prima volta con le sue amiche in discoteca. A distanza di tanti anni aveva appreso che suo padre era rimasto nascosto in un angolo inosservato del locale a spiarla, giusto per tenere sotto controllo la situazione. Ora era abbastanza cresciuta per poterla seguire, ma non sarebbe mai stata troppo grande per subire le sue raccomandazioni.

Era una sera fredda, il sole tiepido che aveva sfavillato nel pomeriggio si era spento spossatamente sotto le colline e la luna lo aveva rimpiazzato, portandosi appresso un venticello insidioso che costrinse Camila a stringere la sciarpa attorno al collo.

Il suo autista era fermo davanti al cancello, attendeva pazientemente l'arrivo della ragazza, in una posizione scultorea che nell'ombra offuscata della notte lo faceva apparire quasi finto.

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