Capitolo trentaquattro

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Perché mi ha portata in uno strip club?

L'interno del locale ricordava quei luoghi tetri e solitari dove in un modo o nell'altro finiva il personaggio di qualche film dopo aver commesso una cazzata.

Nonostante la luce oscura che incupiva l'ambiente attribuendogli un clima di mistero e sensualità, ancora fuori imperversava una giornata di abbacinante sole e lo scenario ricreato artificialmente dai proprietari meticolosi del locale, andava disperdendosi nei raggi importuni che filtravano dai vetri della porta d'ingresso.

Alcuni donne erano allineate sul palco, tenevano una mano sul bacino e imitavano i passi dell'istruttore che, di fronte a loro, componeva la coreografia o forse le aggiornava su qualche nuovo passo. Altre, più audaci e baldanzose, volteggiavano attorno al palo della lap-dance, già con il costume di scena.

A Lauren cadde l'occhio sulle gambe relativamente muscolose di una ragazza che si stava avvitando al ferro, ruotando il bacino verso il basso e piroettando con le braccia flesse verso il basso. Indossava un paio di pantaloncini talmente corti che chiamarli "pantaloncini" era un eufemismo.

Un sorrisetto malizioso sbocciò sulle sue labbra sin ora contratte rigidamente, poi lo sguardo si spostò sui fianchi ondeggianti di Camila che passeggiava qualche metro dinanzi a lei. Si catturò il labbro inferiore fra i denti, mentre immaginava quei pantaloncini succinti fasciarle il fondo schiena.

Scosse energicamente la testa, guardandosi attorno con forzato interesse. Sei in uno strip club, guardati attorno! Si ammonì mentalmente, ma per quanto si sforzasse di orientare lo sguardo sul seno prosperoso di una ballerina o sull'esibizione allettante di un'altra donna che sfoderava impudicamente il suo corpo, gli smeraldi di Lauren, con una scusa o l'altra, tornavano sempre a vagheggiare le curve sinuose della cubana.

Camila si arrestò davanti al bar, salutò calorosamente una delle dipendenti che era impegnata a strofinare i bicchieri, umidi dopo il lavaggio in lavastoviglie. Lauren si avvicinò con andatura cadenzata, tenendo le mani in tasca, lo sguardo volutamente annoiato e il mento sempre lievemente alzato verso l'alto, emblema della sua inopinabile superiorità.

Alyce venne presentata a Lauren non con la nomea di ballerina, come aveva creduto di primo acchito la corvina, ma bensì come la proprietaria del locale. Ci fu una breve excursus sulla depressione che aveva subito lo strip club quando la sua partner aveva improvvisamente deciso di abbandonare, e di come Camila, benefattrice per nepotismo, avesse sovvenzionato alcuni progetti ideati da Alyce per riportare il locale all'antica fama. Pian piano era incrementato il numero dei visitatori e di conseguenza anche i guadagni surclassarono le spese.

«Questa donna mi ha salvato la vita.» Terminò il logorroico racconto Alyce, cingendo le spalle di Camila in un abbraccio amichevole.

La cubana reciprocò la stima con un sorriso affettuoso, e Lauren si limitò ad annuire senza aggiungere stizza alla sua espressione imperturbabile.

Alyce rimase a favellare con loro per qualche tempo, offrì anche una bibita ad entrambe, ovviamente alcolica perché i liquori sotto i quindici gradi non erano ammessi nel suo locale. Infine, dopo svariati minuti, la sua presenza venne indirettamente richiesta altrove.

«Albie, tesoro, per favore evita di camminare sui tacchi come fossi un elefante.» Apostrofò cordialmente una delle sue ballerine, dopodiché fece un gesto di saluto a Camila, accompagnato da un'alzata di sopracciglia che evidenziava la disperazione in merito alle doti della ragazza, e se ne andò.

Lauren sorseggiò avida l'ultima goccia del suo drink, mentre Camila si sedette sullo sgabello al suo fianco, con lo sguardo fisso davanti a se, ma il sorriso rimarchevole di prima ancora incastrato fra le labbra.

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