«Dinah, non lo so.» Sbuffò Camila, accasciandosi contro lo schienale della poltrona «Andiamo, devo lavorare.» Illustrò con le mani i documenti sparpagliati sulla scrivania, inarcando le sopracciglia per attribuire maggior enfasi alla sua condizione.«È più importante questo del lavoro!» Notificò la polinesiana, sentendosi oltraggiata dall'allusione deludente dell'amica.
«Non sei seria.» Commentò speranzosa Camila, poggiando i gomiti sulla scrivania.
Attese una riposta e registrando l'espressione inequivocabile dell'amica, comprese che sì, era seria eccome. Sprofondò la testa fra le braccia, borbottando qualcosa sottovoce che parve di lamentevole fattura.
«È il compleanno di Siope, voglio organizzare qualcosa di indimenticabile.» Asserì con smodata frenesia la polinesiana, eccitata fuori misura per quell'evento usuale agli occhi di Camila.
«Fai benissimo, splendida idea, ottimo! Ora mi lasci lavorare?» Supplicò quasi la cubana, congiungendo le mani in alto, prostrandosi ai piedi dell'irreversibile loquacità e dell'inestinguibile vivacità di Dinah.
«Perché ho scelto te come migliora amica?» Si corrucciò la polinesiana, osservando Camila con sguardo serio, come se stesse davvero tentando di scorgere, o di ricordare, qualcosa per cui la sua scelta fosse stata motivata.
«Perché le migliori erano finite. Dai, ora vattene.» La scacciò la cubana, inducendola a migrare con dei rapidi cenni delle mani che la spinsero ad arretrare fino alla porta.
«Torno dopo.» Comunicò Dinah, prima di chiudersi l'uscio alle spalle.
«No, Din...» Non riuscì a protestare Camila.
Affossò nuovamente la testa nelle braccia, mugugnando contraddittoria, e dopo quel laconico sfogo, riuscì finalmente a sospirare e riprendere il suo lavoro.
Doveva intrattenere un processo a breve, la denuncia multava un'apparente appropriazione indebita e frode. Il suo cliente era un ricco proprietario multinazionale, il quale nome veniva pronunciato da tutti con quel reverenziale rispetto che solo chi semina paura può vantare di avere, ma non aveva certamente bisogno di locupletare i suoi ingenti fondi, visto gli incassi annuali. Anche se, doveva ammetterlo, coloro che commentavano più infrazioni al codice penale erano proprio i benestanti, persone che non si accontentavano mai degli zeri sull'estratto conto.
"La malattia zero", così l'aveva soprannominata Camila, attribuendola a tutti quegli assisti che si erano presentati con un'ammissione di indignata innocenza, ma si erano spesso rivelati abili interpreti, personaggi di loro stessi.
Comunque, stava procedendo per gradi, ispezionando strato dopo strato dei retroscena del suo cliente, tentando di evincere dalla sua storia qualche sottigliezza che le permettesse di concordare con il suo primitivo pensiero (ovvero che fosse realmente pulito), oppure sbugiardarsi con le sue stesse doti.
Non stava spulciando il caso nemmeno da un'ora, quando Dinah fece nuovamente irruzione nel suo ufficio, stavolta scortata da un entourage di segretarie che colonizzarono lo studio. Tutte trasportavano un vestito, depositarono l'occorrente sul sofà e sparirono, senza dire una parola.
«Che diavolo stai facendo?» Si acutizzò la voce della cubana, che era ancora stordita dall'entrata improvvisata nel suo santuario.
«Non riesco a decidere quale abito indossare.» Afferrò due grucce e alzò i vestiti ai lati della testa, poco sopra l'altezza delle spalle. Diede degli scorci ad entrambe le opzioni, facendo spola fra l'un e l'altra, indecisa. «Secondo te, qual è meglio?» Domandò la polinesiana, arricciando il naso e instradando lo sguardo verso l'amica, ancora esterrefatta per l'incuria con cui Dinah non solo aveva assediato il suo ufficio, ma anche per la considerevole incuria con cui affrontava il lavoro.
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Fight Back
Fanfiction14/04/2018 #6 in fanfiction 05/04/2018 #7 in fanfiction 28/03/2018 #11 in fanfiction 26/03/2018 #14 in fanfiction Lauren si classifica per le finale dei mondiali, ma viene amaramente battuta dalla sua rivale. Dopo tale sconfitta la sua vita subisc...