Capitolo ciquantatré

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Due settimane dopo...

Non è vero che le persone smettono di mancarci. Se le abbiamo amate davvero, ci abituiamo solo a convivere con la loro petulante assenza. Anzi, a volte non lasciamo andare quella mancanza proprio perché ci fa sentire ancora vicine a loro, nonostante faccia male è proprio quel dolore che ci permettere di ritrovare l'amore che abbiamo nutrito per loro.

Qualcuno sfugge a questa atroce mancanza colmando gli spazi vuoti con attività insulse che attenuano il pensiero e di conseguenza anche il dolore. Altri si lasciano trasportare da questa smaccata emozione, abbandonandosi ad essa con negligenza e spossatezza. Ognuno reagisce come può alla mancanza, non esiste qualcuno in grado di giudicare un metodo altrui, siamo noi stessi i giudici delle nostre decisioni.

Le nostre decisioni...

Le nostre... decisioni...

Decisioni...

«Camila!» Urlò Alejandro per l'ennesima volta, salendo le scale con ripetuti borbottii.

«Vuoi degnarti di rispondere?» Chiese, spalancando la porta di camera della cubana.

Era curva sulla scrivania, come il resto degli altri giorni e alle altre notti. Si portava il lavoro anche a casa, complicava pratiche su pratiche, smaltiva lavoro in eccesso che poteva benissimo attendere il giorno seguente, ma no, lei trascorreva l'intero giorno su quei documenti, a scartabellare e scombiccherare compulsiva.

«Scusa, non ti ho sentito.» Non alzò nemmeno lo sguardo. La penna scorreva svelta sul foglio, per sorpassare la velocità dei pensieri «Che c'è?»

«È pronta la cena.» Notificò Alejandro, aguzzando la vista per interpretare il comportamento insolito della figlia che negli ultimi giorni sfuggiva alla sua sagacia.

«Non ho fame, grazie.» Tagliò corto, tornando ad inabissarsi nel suo incombente lavoro.

Alejandro sospirò e richiuse la porta.

Perché le decisioni vanno in vie separate, perché noi esseri umani siamo completamente diversi l'un dell'altro, e anche i nostri meccanismi, i nostri istinti di sopravvivenza variano. Perché può sembrare esagerato, ma per alcuni diventa una vera e propria sopravvivenza quando devono sopportare la mancanza.

«Sei ubriaca?» Domandò la ragazza, colpendo Lauren sulla guancia.

La corvina sbatté ripetutamente le palpebre, risvegliandosi dal torpore «No.» Biascicò, scuotendo la testa.

«A me sembra di sì.» Eccepì con voce stridula, irrigidendo i muscoli.

«Sei qui per scopare, o per parlare?» Si inalberò Lauren, ingabbiando la ragazza contro contro il muro alle sue spalle.

Questa sorrise maliziosa, e incurante tornò a baciarla.

Ripeto, ognuno reagisce la mancanza a suo modo...

Dinah serpeggiò fra i tavoli del bar, tenendo in equilibrio il vassoio dove i cucchiaini tintinnavano all'interno delle tazzine da caffè. Camila la osservava approssimarsi, da lontano, assaporandosi le smorfie che puntualmente storpiavano i lineamenti di Dinah che proprio non riusciva a trattenersi dall'ammonire tacitamente gli avventori maleducati che la spintonavano rudemente per farsi spazio fra la folla.

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