Capitolo ventotto

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Lauren sospinse la cubana contro il tavolo, intrappolandola fra il suo petto ansimante e la superficie piana.

Camila appoggiò una gamba sul tavolo, ghermendo la corvina per i fianchi la spinse verso di se, facendo aderire i loro bacini con uno strattone impetuoso che fece gemere entrambe.

Lauren le solleticò le nuca con i polpastrelli, indecisa se carezzarle la pelle o stringerle i capelli. Camila non aveva dubbi. Le sue mani erano incuneate nel cuoio capelluto dell'altra, mentre le loro lingue si contorcevano in una danza frenetica che prosciugava il respiro ad entrambe.

Quando Lauren le afferrò le natiche, intenta a sdraiarla sul tavolo, Camila sgranò gli occhi ricordandosi dove si trovassero. Poggiò le mani sulle sue spalle e l'allontanò leggermente, affrontando con tatto lo sguardo contrario che saettava nelle iridi di Lauren.

«Non possiamo..» Ansimò a corto di fiato, impiegando tutte le sue forze per reprimere i brividi che le inondavano il basso ventre «Non qui.» Terminò infine in un sospiro, accasciando lievemente la testa verso il basso.

Lauren increspò la bocca in un'espressione soddisfatta, udendo il suo ego rifiorire. Sfiorò il mento della cubana con il pollice, poi le solleticò il labbro timido e ottenne la sua attenzione.

«Quindi da un'altra parte sì?» Asserì compiaciuta, sguainando la sua incommensurabile alterigia.

Camila roteò gli occhi al cielo, carpendo l'antifona. A Lauren interessava solo la vittoria, il fatto di poter sottomettere la sua posizione la gratificava ineffabilmente. La cubana scosse la testa, con un gesto sgarbato la spostò e si sottrasse alla sua morsa.

«No. È sbagliato. Per niente professionale.» Aggirò il tavolo, imbracciò la borsetta e si ostinò a non deflettere lo sguardo dal pavimento.

Sapeva perfettamente che un'occhiata conturbante avrebbe smantellato la sua risoluta -non così tanto risoluta- decisione.

Si accostò al fianco di Lauren, percepì i suoi occhi fulgidi addosso, ma si costrinse a non ricambiare l'occhiata, focalizzandosi su un punto indefinito della stanza.

«Non succederà più.» Sentenziò più solenne del verdetto che aveva emesso il giudice.

Lauren ridacchiò sotto i baffi, ma si sforzò di annuire per non irritare Camila, dato che già si prospettava un litigio inutile. La cubana tirò su col naso, poi camminò impettita fuori dalla stanza.

La corvina attese che la porta si richiudesse prima di voltarsi e sogghignare, scuotendo leggermente la testa.

Fuori era una giornata indefinibile. Il cielo era per lo più terso, fatta eccezione per qualche nembo che maculava il colore puro, ma spirava un vento fresco che screpolava le labbra e frustava le guance. Lauren si strinse nel suo giubbotto di pelle e, dato che era sprovvista di sciarpa, per riscaldarsi optò per una sigaretta.

Ciondolò fino alla fermata del bus con le mani in tasca e il mozzicone fra le labbra, aspirando ed espirando senza problemi.

Da una parte, valutando la situazione nel complesso, era contenta di non aver terminato ciò che aveva iniziato con Camila, perché così poteva capitalizzare il tempo in maniera più astuta: dormendo. Non vedeva l'ora di spaparanzarsi sul letto e restarci fino alla mattina seguente.

Il tragitto in bus fu lungo e spossante come sempre. Non solo era costantemente stipato di persone che coartavano le une contro le altre, ma solitamente non erano neanche disponibili i posti a sedere.

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