Capitolo sessanta

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L'orizzonte era merlato di nembi candidi che trascoloravano al rose durante la latitanza spensierata del sole che accarezzava la volta celeste per un ultimo feroce istante.

Camila non si beava del fiabesco crepuscolo da indeterminato tempo, quasi aveva obliato la sensazione violenta di pace e la travagliata serenità che si sprigionavano contemplando un tramonto, ammirandone tutte le scomposte traiettorie che disegnavano sinuosi fianchi sul corpo efebico del cielo.

Era come assistere alla creazione delle stagioni, che ammiccavano da dietro le colline solo un attimo prima di stornare civettuole nella notte, addormentandosi con vitreo e cangiante silenzio.

«Laur, stai attenta al sedile.» L'ammonì Camila ancor prima che la corvina estraesse una patatina, oleosa e ricolma di sale, per sicurezza.

«Oddio, sei peggio degli uomini, alla guida.» Scosse la testa Lauren, stupita.

«Non ho mai mangiato in macchina, adesso ti sto permettendo di farlo. È logico che abbia qualche angustia.» Scattò sulla difensiva la cubana.

Quando udiva il crepitio del sacchetto di carta, foriere dello sgranocchiare convulso di patatine, il suo sguardo virava improvvisamente dalla strada a Lauren, minacciando quest'ultima tacitamente e invocando l'ausilio divino affinché il sedile in pelle non subisse sevizie oleose.

«Stai attenta alle mani!» L'apostrofò di getto quando la corvina, terminato di saziare la fame con le patatine, fece brancolare sconsideratamente le dita nell'abitacolo.

Lauren roteò gli occhi al cielo, poi, per non fare polemica, ricercò un tovagliolo dentro al sacchetto di carta.

«La commessa è stata così spilorcia da darci solo due tovaglioli.» Sbuffò seccata Lauren, scuotendo la testa.

Dispiegò goffamente la carta rasposa, strofinando prima una e poi l'altra mano. Pulì ogni dito con ineccepibile diligenza, sollecitata dallo sguardo supervisore della cubana che non aveva avanzato alcuna critica riguardo il suo metodo, ma sempre in agguato in caso notasse un gesto irresoluto.

Camila fu costretta ad abbassare l'aletta parasole quando un dardo infuocato le trafisse con proditoria violenza le palpebre sensibili. Lauren era troppo indaffarata a sporcarsi e pulirsi, per potersi curare degli ultimi abbaglianti raggi che perforavano con mole inaudita i finestrini.

«Sei agitata?» Domandò improvvisamente Camila, destando la letargica curiosità di Lauren che scosse la testa, disorientata.

«Per la festa, intendo, sei nervosa?» Specificò dettagliatamente la cubana, stringendo la presa sul volante.

«No, perché dovrei?» Scrollò le spalle la corvina, abbozzando un sorriso che entrò in conflitto con il cipiglio che le solcava la fronte.

«Non so..» Mugolò a corto di parole l'altra. Si evinceva palesemente che stava tentando di cernere supposizioni fraintendibili da quelle consone e accettabili «È la prima volta che ci presentiamo in un luogo insieme, magari ti sentì sotto pressione.» Ipotizzò la cubana, gesticolando animatamente per dirottare l'attenzione.

«Uhm... No.» Rispose sinceramente Lauren, con disinvoltura disarmante «E tu?» Propose il medesimo quesito a Camila, fissandola con sguardo placido.

La cubana di irrigidì, ma dissimulò la sorpresa dietro una risatina insolitamente storpiata da incrinati acuti «Io? Per niente!»

Lauren annuì e, spensierata, tornò a cospargere le dita di olio e sale, abbuffandosi ingorda di una patatina dietro l'altra. Camila, dal canto suo, non fece altro che mantenere lo sguardo sulla corsia, agitarsi compostamente sul sedile, far scorrere le mani lungo il perimetro arrotondato e zigrinato del volante, somatizzando l'ansia in un riverente silenzio.

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